L’epidemia. I preti che disobbediscono. Il timore che la pasqua venga “cancellata”

La Pasqua a rischio

Il Coronavirus è arrivato anche per le comunità cristiane. Le chiese chiuse non fanno grande notizia. Tutti sanno, però, che sono chiuse mentre nessuno sa fino a quando la cosa durerà. Qualcuno comincia a prendere in seria considerazione l’ipotesi che anche la settimana santa e la pasqua possano essere “cancellate”. Solo un’ipotesi, per ora. La pasqua è il 12 aprile. Non si può certo essere sicuri che in un solo mese l’epidemia finirà e che tutto potrà riprendere come prima. La cancellazione delel cerimonie della settimana santa e della pasqua arebbe, liturgicamente parlando, un disastro. Ma è un disastro possibile.

La messa carbonara e il sindaco che richiama il parroco

Di fronte a questo futuro molto incerto sta il presente certissimo: tutto chiuso, nessuna cerimonia è possibile, neanche una piccola messa feriale, neanche un funerale. Tutto chiuso? Non pare proprio. Girano notizie di prima mano e alcune le abbiamo verificate. Alcuni preti (pochi, pare, per fortuna) hanno celebrato, almeno fino a lunedì 9, con presenza di fedeli. Alcuni hanno suonato anche le campane. Il tutto in barba alle disposizioni del vescovo che stabilisce il carattere rigorosamente privato di tutte le messe. “I sacerdoti celebrino da soli, dice la disposizione del vescovo, senza che ci sia alcun fedele ad assistere, se non lo stretto indispensabile per l’assistenza all’altare o a eventuali mezzi tecnici in caso di diretta”. Abbiamo notizia di un sindaco che ha mandato i suoi vigili per chiedere al suo parroco di stare alle disposizioni in atto.

Le strane ragioni del prete che sta sopra la legge

Intanto, però, è possibile abbozzare qualche riflessione. Ci si domanda: come mai un prete si sente autorizzato a stare “sopra” la legge, a non fare quello che tutti sono tenuti a fare? Il prete che celebra una messa che non dovrebbe celebrare è convinto di fare cosa buona. Ovvio che la messa è una cosa buona. Ma esiste la possibilità di fare male una cosa buona. E la si può fare così male da far diventare cattiva anche la cosa buona. Fino al punto che un sindaco si sente obbligato a ricordare al suo parroco che anche lui, il parroco, è cittadino e, proprio perché cittadino, deve obbedire alle leggi, come tutti.

Ma il prete che dice la messa, in tempo di epidemia e disobbedendo, dice qualcosa non solo del suo rapporto con la società e le sue leggi, ma dice anche qualcosa di se stesso. Dice che non può fare a meno di fare il prete anche e soprattutto quando infierisce il virus. E questo è sacrosanto. Ma dice anche che per lui fare il prete significa necessariamente dire la messa. È questo non è più sacrosanto. Ovvio che la messa è importante. Ma il prete non è solo un celebrante. È molto di più ed è proprio questo “di più” che rende significativo anche il celebrare.

Il prete dentro l’epidemia, tra chiesa e computer

Proprio l’emergenza dovrebbe far emergere tutti questi altri modi di fare il prete: la preghiera personale, la riflessione, lo studio e, poi, soprattutto, la vicinanza alla gente. Sì, anche la vicinanza alla gente. Perché  esiste il telefono ed esiste internet. Sì lo immagino così un parroco in questi giorni, occupato tra la chiesa, dove prega, e il suo computer e il suo cellulare, dove coltiva i contatti. Per chiedere come si sta, per assicurare che ci si ricorda e che si prega gli uni per gli altri… I legami coltivati così permetteranno, dopo, di riprendere con più slancio anche le messe. E saranno messe piene di gioia e di speranza, molto più di una messa carbonara, dettata dalla paura e dal gusto malato di fare in pochi una cosa proibita a tutti.