Quaresima nel monastero delle Clarisse di Boccaleone: “Uniti nella preghiera”

La chiesa del monastero delle Clarisse di Boccaleone è sempre molto frequentata. Ma in questo periodo di restrizioni per il coronavirus, anche le monache si sono adeguate. Dapprima hanno inviato tramite email a chi fa riferimento al monastero e poi lasciato nella chiesa un foglio con riportato l’omelia dell’arcivescovo di Milano Marco Delpini nella Messa in Duomo per l’inizio Quaresima. Poi, con le stesse modalità, ogni settimana propongono un pensiero del cappellano don Alberto Monaci. «In questo periodo — raccontano le Clarisse di Boccaleone — in cui siamo invitate ad intensificare la nostra preghiera per questa situazione che colpisce tanti fratelli e sorelle, ci sembra bello offrire alla vostra riflessione quanto don Alberto, il nostro cappellano, ci ha mandato. Un’opportunità preziosa per condividere e per sentirci uniti in quella comunione che supera ogni virus».

Nello scritto di questa settimana, don Monaci ricorda questi momenti di grande preoccupazione. «Mi è sembrato di entrare in un film e invece era una realtà invisibile e insieme molto reale che ci ha colto di sorpresa. Mi pare sia prezioso per ciascuno custodire l’atteggiamento di chi interroga la realtà. Il Signore non manda virus, né tragedie, né disgrazia come qualche stupido, anche confratello, si è permesso di sparare. Però il Signore ci parla sempre nella storia e attraverso la storia e allora sarà importante che ciascuno si chieda: cosa ci stai dicendo Signore in tutto questo?». Come risposta, don Monaci parla di «tre abbozzi di pensiero», prendendo la distanze dagli «avvoltoi spirituali». Innanzitutto, «stiamo sperimentando con mano di non essere onnipotenti. Lo diciamo a voce, ma non ci crediamo realmente e poco alla volta ci siamo illusi si essere al riparo da tutti. Sperimentiamo il limite anche della scienza e della medicina. In questi giorni ho parlato con amici che stanno lavorando nei reparti dei contagiati sottoposti a turni massacranti e a loro va tutta la preghiera e la riconoscenza. Tutto questo ci chiede di essere cristiani vigilanti che rifuggono letture apocalittiche del reale che non fanno onore alla nostra fede, ma che ci aiutano a mettere in guardia dall’affidarsi a forme superstiziose e magiche che alimentano la paura, annebbiano la mente, favoriscono la presa dei profeti di sventura e degli “avvoltoi spirituali”».

Il secondo pensiero è la sperimentazione di essere un piccolo villaggio. «Un virus che sembrava lontano in pochissimo ci ha raggiunto — prosegue don Monaci —. Forse il “nostro” virus potrebbe aprirci gli occhi a un mondo che è assediato da virus. E che muore più per dissenteria o morbillo che per chissà quali malattie. E forse potrebbe renderci più solidali con chi vicino a noi non può uscire di casa o si sente attanagliato dalla paura».

Un terzo pensiero è sperimentare la fame dell’Eucaristia. «Per la prima volta in quindici anni di ordinazione — confida don Monaci — mi è toccato chiudere persone fuori dalla porta della chiesa. E qualcuno, anche giovane, mi ha scritto per messaggio se non vi fosse qualche possibilità di poter fare la Comunione. Le chiese non hanno mai visto così tante persone passare per un segno di croce, una candela accesa, una preghiera. Mi piace sperare che questo digiuno forzato ci aiuti a comprendere l’inestimabile dono che è per noi l’Eucaristia, la forza della preghiera personale e la Parola di Dio. Ho celebrato ogni mattina a porte chiuse con le sorelle Clarisse. Un gesto che sottolinea quale inestimabile dono sia la vita contemplativa: una preghiera per tutta la Chiesa e per il mondo, invisibile come lo sono gli anticorpi che permettono di combattere il male».