Qualche idea per il dopo virus

Il Covid-19 ha sottoposto l’intero corpo del Paese ad un’imprevista e brutale risonanza magnetica nucleare, le sue parti solide e le sue parti molli. Il governo, le istituzioni politiche e amministrative, i partiti, la politica, l’etica pubblica degli Italiani sono passate e ripassate in quello spietato tunnel claustrofobico. L’operazione è tuttora in corso. Lasciamo dunque che si completi.

Il Coronavirus e “I Promessi Sposi”

Arriva, intanto, con i primi provvisori referti, un’inevitabile democratica profluvie di diagnosi e di proposte di terapia. Bisogna pur riempire le pagine e gli schermi. Ed è ciò che ci accingiamo a fare anche noi. Sulle incertezze iniziali degli scienziati, della politica e del Paese nel febbraio del 2020 basterà qui citare, a magra consolazione, il Capitolo XXXI dei “Promessi Sposi” – 1842 – a proposito della peste del 1629-31 a Milano: “In principio dunque non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste; vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome.  Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci si è attaccato un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio… “.

Se questo fosse il tempo di divertissements storiografico-letterari ci si potrebbe esercitare a traguardare minuziosamente i comportamenti e le verbigerazioni rissose dell’Italia, dalla settimana finale di febbraio ad oggi, attraverso il prisma dei Capitoli XXXI e XXXII del suddetto romanzo, arrivando alla conclusione rassegnata e scontata che lungo i secoli cambiano i modi di produzione, le economie, le tecnologie, le società e gli Stati, ma restano costanti le dinamiche millenarie e le tendenze del cuore umano e degli uomini associati. Tra queste, quella della ricerca rancorosa e carica di odio dei responsabili, cioè dei colpevoli, cioè dei capri espiatori: degli “unguenta scelerata et unctores in urbe”.

Ora, non mancherà il tempo per indagare su ciò che non funzionato a dovere, andando alla ricerca delle cause e seguendo, magari, fedelmente il metodo richiamato da A. Manzoni: “Il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare. Ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare”. D’altronde, l’opportunità ci è offerta dal silenzio in cui viviamo: quello che Georges Duby, grande studioso del Medioevo, descrive come “il silenzio delle città assediate, prima della resa”. Per non arrenderci, per superare gli ostacoli non basterà gettare il cuore oltre l’ostacolo presente, all’insegna dello slogan più frequente dei film americani “tutto bene, ce la faremo!”. Proviamo, viceversa, a gettare il cervello oltre l’ostacolo.

Gettare il cervello oltre l’ostacolo

Ciò che ha fatto più morti non è stata solo la confusione iniziale dei messaggi degli scienziati, delle istituzioni, della politica – Milano si ferma o non si ferma!? – ma, soprattutto, il clima diffuso di irresponsabilità, di incoscienza di furbizia. Mentre sono emerse fasce estese di professionalità, competenza, solidarietà, il civismo come responsabilità collettiva si è manifestato solo a macchia di leopardo. La sua débacle è stata evidente con la precipitosa “marcia del virus” dei quarantamila verso Sud, moltissimi dei quali giovani e con “l’assalto ai forni”; con la resistenza ostinata a modificare, per un periodo transitorio, abituali stili di vita considerati essenziali quali gli aperi-cena, le serate al bar, le discoteche, la socializzazione quotidiana del gioco delle carte…

Una parte molto grande dei cittadini del Paese continua a sentirsi individuo, parente, compaesano, ma non italiano. Solidarismo tribale, ma non civico. E’ una storia lunga. Sabino Cassese, in un’intervista recente al Foglio, ha richiamato l’espressione “insigne faiblesse” della statualità in Italia, di cui parla F. Braudel nel suo “Le modèle italien”, uscito postumo nel 1989, nel quale scrive di “troppi Stati e troppe Città-stato”. A questa constatazione, lo scrittore Antonio Scurati in un articolo sul Corriere della sera continua ad opporre la nostalgia della “comunità di destino”.

Non ci infileremo, ancora una volta, in questa diatriba, che ha attraversato l’intera cultura italiana almeno dall’Unità. L’unica reale comunità di destino è l’umanità intera, che abita da ospite precario su questo pianeta. La rapida estensione planetaria del Covid-19 getta un fascio di luce su questa realtà. All’altro lato stanno gli individui-persona. In mezzo le comunità nazionali, gli Stati-nazione, terreno concreto di esercizio e di costruzione della comunità di destino planetaria.

I nostri fallimenti educativi. Alcune drammatiche domande

“Gettare il cervello oltre l’ostacolo” significa interrogarsi su come, nel futuro prossimo, costruire la piena coscienza di questa condizione e come educare i nostri figli ad affrontare le sfide che ne conseguono. E, anche, fare un bilancio dell’azione/inazione educativa degli ultimi decenni. Chi ha fatto credere ai nostri ragazzi di essere al sicuro nella propria individualità, sotto la cupola della propria socialità di tribù e della propria micro-comunità di destino? Chi li ha resi così incapaci di silenzio e di interiorità?

Sant’Agostino nel “De vera religione” ci raccomanda: “ Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas”. Tradotto con qualche libertà: “Non vagabondare fuori, torna dentro di te, perché la verità abita dentro di te”. Già! Ma se un ragazzo rientra in sé e non trova nulla e non trova se stesso?! Chi ha fatto credere loro che basta costruire un muro individuale o di frontiera per tener fuori il mondo con le sue sfide e le sue minacce? Chi ha generato povertà educativa? Chi individui così poveri di tradizione e di storia? In una ricerca di Openpolis del 2018 risultava che più della metà dei giovani non aveva letto un libro nell’ultimo anno e che 1 famiglia su 10 non li ha in casa. Lascio perdere qui le statistiche sull’analfabetismo funzionale e sui Neet.

Non basta un diverso sistema politico. Urge un altro modo di educare

Nel dopo-virus ci saranno molte cose da cambiare relativamente alle istituzioni politiche, all’amministrazione, al sistema sanitario ecc… ma la prima sfida resta quella del sistema educativo. Esso non si riduce né alla sola famiglia né alla sola scuola. Ogni persona adulta è, lo voglia o no, soggetto educativo, responsabile verso le giovani generazioni, abbia o non abbia figli. Abbiamo alle spalle un fallimento di questo sistema. E questo spiega parecchio delle difficoltà attuali ad accettare limitazioni, sacrifici, e persino modeste rinunce. Colpa di chi? Di tutti noi. Solo a partire daquesta consapevolezza e assunzione di responsabilità la politica e le istituzioni potranno incominciare a fare le riforme necessarie.