Riportare le persone a dialogare con la propria intimità e, attraverso comportamenti funzionali e virtuosi, riuscire ad astrarre, da un male, il bene. È questa la finalità di #nonperdiamoci, il servizio di supporto psicologico per far fronte all’emergenza Coronavirus, nato grazie all’idea della dottoressa Maria Chiara Gritti, psicologa e psicoterapeuta, che, dal 2019, guida, a Bergamo (in via Clara Maffei, 2), «Dipendiamo», centro volto alla cura delle cosiddette «new addictions», le dipendenze contemporanee, come quelle inerenti al gioco o all’affettività. «Il progetto #nonperdiamoci, che nasce come gruppo Facebook, vuole essere una risposta celere ed efficace all’emergenza causata dall’epidemia di Coronavirus – spiega la dottoressa Gritti, che, da anni, conduce gruppi terapeutici sulla «love addiction», presso il Consultorio familiare «Scarpellini» –, che, improvvisamente, ha mutato le abitudini della comunità, catapultando diverse persone in una dimensione di solitudine e angoscia». Un problema non solo causato dalla mancanza di piena libertà (e quindi fisiologico), ma anche determinato (e amplificato) dalla società contemporanea. «Ormai da anni, viviamo con il piede sull’acceleratore, immersi in una realtà narcisistica che non ci lascia tempo per riflettere e per pensare a noi stessi – illustra la psicoterapeuta, che, nel 2017, ha pubblicato, con Sperling & Kupfer, «La Principessa che aveva fame d’Amore», favola moderna, rivolta alle donne, che racconta il mal d’amore –. Non riusciamo a stare fermi: ci sentiamo obbligati a partecipare ad eventi, a postare e condividere foto e storie sui social, a riempire il nostro tempo sempre e comunque, anche al di là del nostro reale bisogno e solo per compiacere il nostro ego o i nostri “followers”. Il rischio, alla fine, è quello di trascurare noi stessi e le persone che ci stanno accanto, spesso i nostri stessi familiari». Un rischio che emerge, con tutta la sua forza, proprio in momenti di emergenza, in cui, per motivi di necessità, si è costretti ad abbandonare l’abituale routine. «In questi giorni, il disagio dei pazienti non è generato solamente dalla paura del contagio, dalla malattia e dalla morte – afferma l’esperta –, bensì dal distaccamento forzato da ciò a cui si erano assuefatti e, dunque, dalla mancanza di sicurezza che viene letta come un’impossibilità di controllo sulla propria vita. Questo può generare un senso di spaesamento ed estraniamento, ma, soprattutto, ansia e panico». Da qui, l’intuizione di creare un gruppo Facebook che potesse essere un punto di riferimento per tutti: «Sul gruppo, pubblichiamo indicazioni e consigli, sottoforma di post o video originali, che possano aiutare le persone a far fronte a questo brutto periodo, ma, ovviamente, gran parte del servizio si realizza attraverso la consulenza che offriamo, via telefono o via Skype, rivolta sia ai pazienti di lunga data, sia a coloro che, in questi giorni difficili, avessero bisogno di un piccolo aiuto psicologico». Le sedute durano massimo un’ora e la prima consulenza è sempre gratuita. «Il centro “Dipendiamo” conta quindici professioniste, capaci di gestire il paziente anche via telefono – sottolinea la dottoressa Gritti –. È importante, all’inizio, tranquillizzare l’interlocutore, per poi ascoltarlo e comprendere assieme quale sia il percorso migliore da intraprendere. Di solito, dall’altra parte della cornetta, ci sono persone che già soffrono di un disturbo d’ansia, ma anche genitori, in particolar modo mamme, che si trovano ad avere un contatto continuativo e “forzato” con i propri figli, al quale non erano più abituate. Ciò è un fattore estremamente destabilizzante, poiché se, prima, alcuni aspetti emotivi dei figli erano affidati all’esterno (come scuola, centri sportivi o semplice socialità fra coetanei), ora le cose sono cambiate. Questo porta i figli ad essere più irrequieti e le loro madri a sentirsi più affaticate. Ovviamente, le problematiche maggiori insorgono quando si ha a che fare con gli adolescenti. Inconvenienti che possono diventare, però, ottimi motivi per organizzare, con i propri figli, attività condivise precedentemente impensabili, per conoscerli e conoscersi meglio». Il segreto sta nel gestire e riempire il vuoto che ci pervade: «Le dipendenze nascono dal tentativo di colmare un vuoto interiore. Un vuoto che la società contemporanea, come detto, tende ad amplificare attraverso l’offerta continua di oggetti e attività che creano l’illusione di placare il disagio e l’insicurezza. Fermarsi e non poter riempire la giornata con impegni (lavorativi e non), significa avvertire maggiormente quel vuoto. Le emozioni negative, quelle legate al buco interiore, non tardano ad arrivare: solitudine, confusione, tristezza, senso di colpa, fallimento, vergogna e inquietudine. Proprio per questo cerchiamo di arginare il malessere causato dal Covid-19 con le stesse tecniche che utilizziamo per placare le dipendenze». Tre quelle principali: «Una prima tecnica è quella della “capacità negativa” – spiega la psicologa –, ovvero sforzarsi di tollerare le incertezze. In un’epoca che tende a voler controllare tutto, ci si trova in un momento in cui non si ha più il controllo su certi aspetti della vita. L’idea è quella di aiutare i pazienti a farsi attraversare dalle difficoltà, ad accogliere i dubbi e le situazioni di incertezza, a capire che non tutto si può controllare. Ciò non è facile da apprendere, ma è possibile. Un’altra competenza che cerchiamo di stimolare nelle persone che si rivolgono al centro è quella del “contenimento”: individuare e dare un nome (e una forma) alle emozioni negative che, spesso, ci soggiogano, così da non farle mutare in atti impulsivi o compulsivi. La capacità di contenimento è molto importante, per esempio, per il genitore che, in questo momento, si trova a gestire le emozioni negative dei propri figli: mamma e papà devono far parlare il bambino di questa emozione, aiutandolo a comprendere che è normale e che non è l’unico a provarla. Se si ha a che fare con i bambini, sarebbe utile far disegnare loro le emozioni negative che provano e, magari, inventare un supereroe capace di combatterle». C’è poi la “ritualità”: «Ci sono gesti che, se ripetuti nell’arco della giornata, possono strutturare un nuovo schema e scandire un nuovo ritmo e assumere una valenza calmante e rassicurante. Dalla cura del proprio corpo ad una colazione con i propri familiari: tante sono le possibilità. Del resto, questo periodo di emergenza può farci riflettere sulla vita che, fino ad adesso, abbiamo vissuto e, magari, come spesso accade, farci comprendere quanto poco tempo abbiamo speso per gli altri e per noi stessi o, anche solo, per un’organizzazione efficiente della quotidianità. La società in cui viviamo è molto incentrata sulla soddisfazione immediata dei nostri bisogni. Questo può inficiare la nostra capacità affettiva e generare un disturbo». Per accedere ai servizi di #nonperdiamoci, basterà inviare un messaggio WhatsApp allo 035.0868258 o scrivere una mail a info@centrodipendiamo.it, indicando la richiesta di aiuto, nome, cognome e un numero di telefono su cui ricevere la chiamata di una delle professioniste del centro. «L’emergenza Coronavirus ha dato il via a ciò che la società contemporanea ha sempre voluto esorcizzare: l’immobilità totale – spiega la dottoressa –. È venuta meno la nostra libertà (spesso gestita e usata male) e, quindi, la possibilità di trovare scappatoie alle nostre emozioni e ai nostri disagi. Da qui la crisi. Vogliamo aiutare le persone a prendere coscienza di loro stesse, delle loro risorse sopite e della loro resilienza, così che possano gestire, in modo funzionale e creativo, il vuoto che sentono. Con la speranza che, quando l’emergenza sarà finita, potranno custodire e mantenere quanto appreso. Solo allora potranno comprendere se sono riuscite a trasformare una difficoltà in un’opportunità».