Coronavirus, addio a don Fausto Resmini. Una vita spesa per gli ultimi

Dopo tante battaglie compiute accanto ai poveri, ai carcerati, ai ragazzi più fragili, don Fausto Resmini è stato portato via dal Coronavirus. L’annuncio è arrivato come accade purtroppo spesso in questi giorni attraverso una foto e un breve testo che circolano sui social network partendo dalla comunità don Milani di Sorisole che aveva lui stesso fondato e che era la sua casa. E’ una foto sorridente, che ricorda quanta energia e quanto affetto don Fausto abbia profuso nella sua missione quotidiana, donando speranza a tante persone, compresi i detenuti del carcere, che per tanti anni ha affiancato come cappellano. Sapeva leggere nel cuore delle persone al di là dei loro errori, vedendo all’opposto in ognuna, al di là delle azioni compiute, i germogli di bene. Non aveva mai paura di esporsi, di stare in trincea, sulla strada, accanto ai senzatetto, ai ragazzi “difficili”. Quelle che per altri erano “cause perse” per lui erano sfide da cogliere: non ha mai voluto abbandonare nessuno, anche al prezzo di dimenticare se stesso. “Ha combattuto fino alla fine contro questo virus così tremendo – si legge sui profili social del Patronato, nel post che dà l’annuncio -. Se n’è andato nel silenzio e nella solitudine della notte, proprio come molti uomini vissuti in strada di cui lui si è preso cura nel suo ministero. Ha seminato la sua vita in modo abbondante nelle vite di tanti fragili e sfigurati. Ora preghiamo Dio perché lo accolga nel suo regno. Sarà accolto dai santi, da don Bepo e dagli ultimi della terra che lui ha amato e servito, lì potrà trovare pace e gioia eterna”. A Bergamo ha fondato anche il Servizio Esodo, un “servizio segno” per incontrare nei quartieri del centro città, intorno alla stazione, i casi di marginalità grave: tossicodipendenti, alcolisti, ex carcerati senza punti di riferimento, migranti, persone con problemi psichici. Era presente con i suoi volontari del camper, portava cibo e coperte ma soprattutto a tutti tendeva la mano, offriva una possibilità di riscatto, lottando contro la paura, l’indifferenza e il rancore. La sua opera ha lasciato un segno profondo, e anche solo dalle centinaia di messaggi che stanno arrivando per ricordarlo attraverso i social sui profili della comunità si può intuire quanti semi abbia lasciato: un’eredità che la sua comunità saprà alimentare e custodire.