Morire di Coronavirus. Da preti

Foto: don Fausto Resmini, morto di Coronavirus

Mentre ti scrivo un amico mi comunica la notizia che è morto don Fausto Resmini, che io conoscevo molto bene. Ormai i preti morti sono oltre una ventina. Quali pensieri ti suggerisce questo fatto: i molti preti che muoiono in mezzo a molti, moltissimi fedeli come muoiono come loro? È proprio un dramma…Angelo

Sì, caro Angelo, quello che stiamo attraversando è veramente un dramma, una tragedia dalle conseguenze gravissime per tutti!

Pastori che si ammalano e muoiono come la “loro” gente

Anche i nostri pastori e i nostri consacrati non sono esenti da questo contagio che porta sovente alla morte! Attualmente la nostra diocesi ha perso oltre 20 preti e non è poco! “Stiamo vivendo questa pena condividendola con quella delle nostre comunità insieme al numero dei contagiati, dei malati e un elevato numero di morti – ha affermato il nostro vescovo in un’intervista. Non siamo separati dalla nostra comunità nemmeno nel passaggio della morte”.

Dalle vite di questi presbiteri, dalle loro testimonianze, dai loro esempi emerge lo spaccato della Chiesa che ama papa Francesco, quella che ha l’odore delle sue pecore e ne condivide le condizioni e la sorte, senza tirarsi indietro. Che i sacerdoti siano in prima linea lo testimonia don Claudio del Monte, sacerdote della Malpensata: “Muniti di mascherina, cuffia, guanti, camice e para-occhiali noi sacerdoti giriamo nei reparti come zombie. Ovviamente non possiamo toccare malati e persone che stanno morendo. Si sta a distanza di un metro senza un contatto diretto. Si recita una preghiera, ma così distanti, spesso gli anziani intubati non riescono nemmeno a capire che si dice. E non vedono nemmeno il volto del prete avvolto da mascherina col filtro davanti. Chi poi come me ha gli occhiali, e sopra anche un para-occhiali, spesso si appannano e a quel punto non riesci nemmeno a vedere i connotati dei malati”.

Coloro che hanno scelto di seguire il Maestro Crocifisso

Chiediamoci, allora, cosa significhi per un consacrato morire “sul campo” nella solitudine, come tantissimi fratelli e sorelle! Non significa forse dare compimento alla propria vita vissuta veramente “tutta sul campo” nella logica del dono di sé, condividendo in tutto la precarietà e le sofferenze dei propri fratelli?

Nessun privilegio per coloro che hanno scelto di seguire un Maestro Crocifisso come l’ultimo dei malfattori, nessuna corsia preferenziale se non quella della consegna della propria esistenza. Un prete, che, vicino agli altri, lotta tra la vita e la morte, nella sofferenza più cruda, proprio come tutti, aiuta a comprendere concretamente che aver donato la propria vita a Dio non equivale ad averla assicurata dalle calamità naturali, ma esattamente il suo contrario.

A questo proposito sono illuminanti le parole dell’evangelista Giovanni: “Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore” (Gv. 10,11-13). Ma non è così per i nostri sacerdoti. Lo testimoniano molto bene le storie di ciascuno.

Così è stato per Don Fausto Resmini! Mi ha colpito profondamente il titolo posto a commento di triste evento: “Una morte nata dalla sua vita”. Non poteva che essere così per questo sacerdote che ha regalato la sua vita agli ultimi degli ultimi della società!

In questa situazione di morte e di pericolo per tutti, i nostri preti, (come moltissimi medici, infermieri, operatori sanitari, ecc.) non si stanno risparmiando nel donarsi al gregge loro affidato e nell’aiutare ciascuno a ritrovare le coordinate della fede che aiuta a dare un senso a quanto stiamo vivendo, a rischio e pericolo della loro incolumità e della loro vita. Che il Signore, Pastore Grande delle pecore, benedica e renda fecondo il ministero di questi nostri fratelli. Il loro esempio fortifichi la nostra fede e ci incoraggi a seguire il loro esempio.