Essere missionari oggi nel mondo. “La Chiesa o è in uscita o non è Chiesa”

“Essere missionari oggi nel mondo”, è il sottotitolo del volume “Senza di Lui non possiamo far nulla” (Lev – Libreria Editrice Vaticana e Edizioni San Paolo 2019, pp. 104, 10,00 euro) di Gianni Valente, che contiene una conversazione densa di riflessioni legate all’esperienza e di sapienza evangelica, che il vaticanista ha avuto con il Santo Padre.

Nel libro Bergoglio racconta ciò che significa la missione di annunciare il Vangelo oggi nel mondo.

«“Chiesa in uscita” non è una espressione alla moda che mi sono inventato io. È il comando di Gesù, che nel Vangelo di Marco chiede ai suoi di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo “a ogni creatura”. La Chiesa o è in uscita o non è Chiesa. O è in annuncio o non è Chiesa. Se la Chiesa non esce si corrompe, si snatura. Diventa un’altra cosa”».

Abbiamo intervistato l’autore Gianni Valente, giornalista dell’Agenzia missionaria Fides, organo delle Pontificie Opere missionarie, collaboratore di “Vatican Insider” e della rivista italiana di geo-politica “Limes”.

L’intero volume ha come luce guida l’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” del 2013, pubblicata a meno di un anno dall’inizio del magistero del Papa argentino? 

«Le risposte di Papa Francesco nel libro intervista hanno come sorgente lo stesso sguardo sulla natura della Chiesa, la sua vocazione e le sue dinamiche intime che si erano espresse nell’esortazione “Evangelii gaudium”. Ma nel frattempo sono passati sei anni, e le risposte papali di oggi aiutano forse a riproporre nel presente i suggerimenti del Papa a tutta la Chiesa, tenendo conto anche del cammino fatto e dribblando anche alcuni equivoci e stereotipi fuorvianti che si sono nel frattempo cristallizzati intorno a alcune delle espressioni più note della “Evangelii gaudium”. Ad esempio, prendiamo l’espressione “Chiesa in uscita”, che in questi anni è diventata una specie di tormentone del linguaggio ecclesiale, quando si vuole indicare l’immagine di Chiesa che è cara a Papa Bergoglio. Spesso tale espressione viene malintesa, e presentata come un richiamo a un attivismo ecclesiale, una “mobilitazione” ecclesiale auto-indotta, tutta affidata all’impegno e allo sforzo degli apparati ecclesiali. Il Pontefice, nel libro intervista, ripete che “La Chiesa o è in uscita o non è Chiesa”. Ripete che se la Chiesa non esce si corrompe, si snatura, si trasforma in una specie di multinazionale ingaggiata per lanciare iniziative e messaggi di contenuto etico-religioso. Ma il Papa aggiunge anche che “Chiesa in uscita” non è una espressione alla moda che si è inventato lui, visto che coincide con il comando dello stesso  Gesù, che nel Vangelo di Marco chiede ai suoi di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo “a ogni creatura”. E soprattutto, il Papa chiarisce che la Chiesa non esce da se stessa per forza propria, o per eseguire un determinato progetto ecclesiale “a la page”, ma solo perché è Cristo stesso e lo Spirito Santo che fanno uscire la Chiesa da se stessa, operando nel presente». 

Il testo è costellato di aneddoti personali di Bergoglio, tra i quali anche quello che da giovane il Santo Padre voleva andare come missionario in Giappone. “Sono entrato nei gesuiti perché mi colpiva la loro vocazione missionaria, il loro andare sempre verso le frontiere”. Quel desiderio si avvera con il prossimo viaggio apostolico del 20-26 novembre in Giappone? 

«Il Papa conferma che è entrato nei gesuiti perché era rimasto colpito dalla loro vocazione missionaria, il loro andare sempre verso le frontiere. Conferma anche che aveva pensato di andare in Giappone. Poi le cose sono andate diversamente. Ora Bergoglio si appresta a visitare il Giappone da Pontefice, e quindi avrà modo di manifestare di nuovo la sua predilezione per quella nazione, quella Chiesa, quel popolo, di cui apprezza anche la forza d’animo che gli ha permesso di risollevarsi anche dopo le esperienze tremende della Seconda guerra mondiale. Ricordo che, il 15 gennaio 2018, durante il volo che lo stava portando  in Cile, ai giornalisti che seguivano il suo 22esimo viaggio apostolico Francesco volle far distribuire la foto icona del bambino di Nagasaki. L’immagine, scattata dopo il bombardamento atomico di Nagasaki, mostra un bimbo che porta in spalla il fratellino morto. Il Papa l’aveva già fatta distribuire a fine dicembre, con la didascalia “Il frutto della guerra”». 

Papa Francesco ripete spesso un’espressione coniata da Benedetto XVI: “La Chiesa cresce per attrazione e non per proselitismo”. Che cosa intende dire? 

«Nelle risposte, il Papa chiarisce che a esercitare l’attrazione sui cuori delle persone fino a farli diventare cristiani non sono gli stratagemmi, le trovate i programmi pastorali pensati anche con generosità, ma è Cristo stesso, con la sua grazia, quando vuole lui e come vuole lui. Quindi non si diventa cristiani attraverso programmi di reclutamento per accaparrare “nuovi “soci”, e tanto meno attraverso sistemi di proselitismo anche camuffato. Riguardo al proselitismo, il Papa spiega che i metodi proselitistici vanno nella direzione opposta non solo perché nuocciono all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, ma soprattutto perché esso pretende di fare a meno di Cristo e della sua grazia operante per suscitare la fede, e di affidarsi per questo alle proprie iniziative e campagne di persuasione, ossia le nuove versioni di quelle che i Padri della Chiesa definivano come “discorsi di umana sapienza”».

Durante la conversazione avvenuta a Santa Marta, il Santo Padre ha chiarito che la Chiesa è anche un ospedale da campo, dove si accolgono tutti, citando l’esempio di una suora missionaria che opera nella repubblica democratica del Congo. Ce ne vuole parlare? 

«Si tratta di suor Maria Concetta Esu, che il Papa ha conosciuto a Bangui nel suo viaggio in Centro Africa. Il Papa parla di lei anche un po’ per smontare i falsi ragionamenti di quelli che nella Chiesa vogliono mettere quasi in contrasto dialettico l’annuncio del Vangelo e le opere sociali, il lavoro per l’emancipazione sociale dei poveri e di chi è nel bisogno. Suor Maria Concetta da più di 60 anni vive nell’attuale Repubblica democratica del Congo, dove fa l’ostetrica e ha aiutato a nascere migliaia di bambini e di bambine. Quando le chiedono perché fa tutto questo, lei risponde con la frase di Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Vuol dire che lei sente di aver ricevuto un grande dono, il dono della vita e il dono della fede. Vuol dire che l’unica sorgente dell’opera missionaria può essere solo la gratitudine per aver goduto dei doni dei Signore, e non un progetto di arruolamento di nuovi cristiani fondato sullo sforzo e su stratagemmi di persuasione. Vuol dire che lei, come tanti altri missionari e missionarie, testimonia l’amore di Gesù per le persone aiutandole nelle loro urgenze concrete, aiutando le donne incinte a partorire, i malati a guarire e a curarsi, gli affamati a mangiare. Il Papa, nell’intervista, ripete che tutto ciò che ha a che fare con le beatitudini del Vangelo e con le opere di misericordia non può essere considerato come estraneo o separato dall’opera missionaria di annunciare il Vangelo». 

In queste pagine Bergoglio ha parlato per la prima volta anche di “dogane pastorali”. A che cosa si riferisce? 

«Con quella espressione, il Papa indica gli atteggiamenti clericali deleteri di chi, negli apparati ecclesiali, sembra mettersi sulla porta della Chiesa per controllare e misurare chi può entrare e chi no, chi ha i “requisiti” per entrare e chi non li ha, e quindi deve rimanere fuori. Questa strana categoria di doganieri – avverte il Papa – finisce spesso per avvilire, mortificare e allontanare le persone, imputando loro scarsa coerenza o scarsa preparazione religiosa, e così ostacolano il possibile incontro con Cristo vivo e la sua grazia. Con il loro comportamento, questi “doganieri” con tesserino clericale fanno velo alla grazia, fanno ostacolo al lavoro della grazia, mentre il Papa fa notare che il tratto distintivo dei missionari, degli annunciatori del Vangelo è proprio quello di facilitare l’incontro di tutti con Cristo, di essere dei “facilitatori” della fede, e non dei “controllori” della fede degli altri».