Covid-19, addio a padre Francesco Valdameri: in Africa è stato “costruttore di ponti”

Una vita spesa a servizio della causa missionaria. Prima in Malawi, poi nello Zambia. Padre Francesco Valdameri era malato di Africa e, nonostante l’età, avrebbe desiderato ritornare tra la sua gente. Nel continente in cui ha operato per oltre sessant’anni. Da circa un mese, infatti, si trovava a Bergamo, rimpatriato per dei controlli medici. Ed è proprio a Redona, nella casa dei monfortani (Villa Montfort), che, lunedì 23 marzo, è mancato, stroncato dal Covid-19.
«La scomparsa del mio amico Francesco, così, senza neanche poterlo salutare, data la situazione drammatica di questo periodo del coronavirus, mi ha colpito fino nel profondo del cuore – commenta monsignor Alessandro Pagani, vescovo emerito di Mongochi, in Malawi -. E pensare che se fosse successo in Chipata avrebbe avuto, al suo funerale, gente da ogni parte della diocesi. Ma il Signore così ha voluto: sia fatta la sua volontà. Qualche settimana fa l’ho incontrato nel prato adiacente alla casa di Villa Montfort. Come sempre esprimeva il desiderio e la speranza di ritornare nello Zambia, dove ha operato per quarant’anni, dopo la prima parentesi africana in Malawi».
Nato a Pieranica (Cremona) il 29 gennaio 1932, padre Francesco matura da adolescente la vocazione missionaria: nel 1946, appena dodicenne, entra nella scuola apostolica dei monfortani di Redona, dove frequenta le medie, il ginnasio e il liceo. Nel 1950 è ammesso all’anno di noviziato, a Castiglione Torinese, e l’8 settembre 1951 compie la sua prima professione religiosa. Prosegue gli studi filosofici e teologici a Loreto, per poi essere ordinato sacerdote il 16 marzo del 1957.
Dopo un anno di pastorale trascorso ad Arona (Novara), nel 1958 parte per il Malawi: vi rimarrà 21 anni. La sua prima destinazione è Mpiri: lì apprende la lingua chichewa e si lancia nella missione. Nel 1964 passa per un biennio a Namwera, poi torna a Mpiri come parroco. Infine, nel 1971, il suo carisma di uomo di frontiera lo porta ad aprire una nuova missione a Nsanama. Nel 1979 prende un anno sabbatico in Italia, dove collabora alla Procura missioni di Caravaggio.
Nel frattempo, per padre Francesco si profila una nuova destinazione: la diocesi di Chipata, nello Zambia. Sarà il suo vero amore, una terra calpestata per 40 anni (1980-2020), testimone della maturità della missione del religioso cremasco. Dopo aver consolidato la parrocchia di Chassa Sinda, apre quella di Mbwindi, e per 27 anni è parroco di una grossa località, Kalichero, sulla via che porta al parco nazionale del Lwangwa. Nel 2012, all’età di 80 anni, getta le fondamenta della sua ultima missione, a Kafumbwe, per poi unirsi nel 2018 alla comunità di Mphangwe, un centro di spiritualità mariana affidato ai monfortani.
«Ho trascorso con padre Francesco 11 anni a Kalichero – continua monsignor Pagani -. Era chiamato il costruttore di ponti. La gente, infatti, lasciava la città di Chipata, strapiena di gente, per andare in cerca di terreni incolti nei pressi della foresta, in zone lontane dalla missione e separate da torrenti, da cui difficilmente si poteva raggiungere la parrocchia. Ecco allora che Francesco si metteva all’opera per costruire ponti, collegamenti, scuole e pozzi sul posto. Era un missionario che si spingeva sempre oltre, alla scoperta di zone remote e sperdute, dove scovava i cristiani e, soprattutto, tante altre persone abbandonate a se stesse. Per un anno, a turno, andavamo settimanalmente nella valle del Lwangwa Game Reserve, a 100 Km da Kalichero: visitavamo la popolazione e celebravamo l’eucarestia. Era una strada impervia, piena di buche e sassi. Padre Francesco, anche in quella zona che costeggiava la grande riserva di animali, si è spinto fino a 140 km da una parte e a 160 km dall’altra, dove ha trovato gente mai visitata dai missionari, per iniziare un dialogo e poi impiantarvi un luogo di incontro e preghiera».
Tornato in Italia nel gennaio del 2020 per dei controlli medici, il missionario cremasco imbocca i giorni in cui imperversa il Covid-19 e, dopo un’esistenza consumata nel servizio di Dio e dei fratelli, sale alla casa del Padre.
«Ogni domenica sera – conclude monsignor Pagani, ricordando l’amico -, dopo essere tornati alla base di Kalichero, c’era sempre un incontro immancabile e fraterno. Ci trovavamo sotto la veranda e cucinavamo il pollo alla brace, accompagnato dalla polenta. Nel frattempo, pregavamo il rosario e i vespri, che salivano come soave profumo. Quando ci incontravamo, padre Francesco mi ricordava sempre quei giorni felici trascorsi insieme. Il Signore che vede nel cuore benedica questo mio amico e lo accolga nella sua gioia eterna».