Soli ma insieme. Sotto l’apparenza della distanza germoglia un nuovo senso di comunità

“Non si è mai lontani abbastanza per trovarsi” scrive Alessandro Baricco: una frase che assume un significato del tutto diverso e peculiare alla luce della situazione di isolamento e di distanza forzata che stiamo vivendo durante questo periodo di emergenza per il coronavirus. Il senso di questa nuova “lontananza” si è capovolto: esprime attenzione, cura reciproca, desiderio di preservare dal contagio, e si attua con maggiore forza e convinzione nei confronti delle persone che ci sono più care.

Eppure mai come adesso il mondo ci sembra piccolo

Eppure mai come adesso il mondo ci sembra piccolo, il contatto con gli altri “intimo” come se in realtà fossimo, paradossalmente, molto più “prossimi” del solito: come se la dimensione delle stanze in cui viviamo si fosse dilatata per accogliere tutte le persone che ci entrano in videoconferenza, e ogni volta è come se venissero da noi. Come se, dal nostro “binocolo” la visione dei dettagli risultasse più accurata.

Ci è capitato di vedere un po’ di tutto: i bambini che corrono, giocano e gridano sullo sfondo durante una riunione, gli impasti per la pizza e le pentole sul fuoco, i libri e le carte accatastati in disordine sulla scrivania. Particolari che rendono le relazioni istintivamente più strette, perdendo la neutralità che si mette in atto spontaneamente nei luoghi di lavoro. Accade perfino con gli operatori dei call center, molto più solleciti del solito nel rispondere alle segnalazioni di guasti e disservizi (anche loro in smart working, magari, con i bambini in sottofondo, e poi dicono sempre “Ma lei chiama da Bergamo, come sta?”, dato che la nostra città è ormai diventata per tutti l’epicentro di questa tempesta). Siamo più disposti ad accettare le lacrime, di dolore e di commozione, perché in tempi come questi il carico è troppo forte per sopportarlo da soli, e ognuno può più facilmente rispecchiarsi nella sofferenza dell’altro.

Il lato costruttivo della rete: rafforza i legami di solidarietà

Perfino sui social l’atmosfera e l’atteggiamento delle persone sono cambiati: in questo momento sono l’unico luogo in cui ci si può incontrare, al netto dei consueti seminatori d’odio e leoni da tastiera, al netto delle bufale che circolano c’è una forte tensione all’ascolto e all’aiuto reciproco, una maggiore disposizione a cogliere le possibilità costruttive piuttosto che quelle distruttive della rete.
E’ sempre lì – sui social – che le occasioni di incontro “pubblico” assumono un fortissimo valore simbolico: lo dimostrano le celebrazioni civili e religiose dell’ultima settimana come, prima fra tutte, la benedizione urbi et orbi di Papa Francesco, solo in piazza San Pietro, e la commemorazione dei defunti del 31 marzo. Stiamo costruendo, senza esserne ancora pienamente consapevoli, un nuovo spazio, popolato di gesti e di simboli diversi dal passato, e un nuovo tempo. In questo momento sotto l’apparente solitudine e l’individualismo, portati all’estremo in questa sorta di auto-reclusione, che però è anche la massima espressione di responsabilità sociale (nessuno incontri nessuno, tutti chiusi entro i propri micro e macro confini),  abbiamo davvero l’occasione di far germogliare un nuovo senso di comunità. Come dice Papa Francesco: “Siamo tutti sulla stessa barca, nessuno si salva da solo”.

Foto © di Giovanni Diffidenti