Pasqua a Gerusalemme ai tempi del Covid-19: cristiani, ebrei e musulmani uniti nella preghiera

Pasqua a Gerusalemme ai tempi del Covid-19. Se la tomba vuota è il segno della Resurrezione, della vittoria di Cristo sulla morte, le chiese e le strade di Gerusalemme, spopolate di fedeli, hanno, invece, un aspetto surreale. Insolitamente deserte, a causa dell’attuale stato di emergenza sanitaria, riflettono in maniera diretta l’immagine di un’umanità ferita, vessata dal Covid-19. Acuiscono, infatti, quel senso di fragilità e sgomento che, al termine della Quaresima, viene tradizionalmente colmato dalla Pasqua del Risorto.
«Al tempo della pandemia – racconta fra Marco Carrara, Segretario della Custodia di Terra Santa -, anche Gerusalemme ha cambiato volto. Di solito, il periodo pasquale è quello in cui si registra il maggior numero di pellegrini, provenienti da tutto il mondo. Ora, invece, la Città Vecchia è vuota».
Il Governo israeliano, infatti, ha attuato diverse misure restrittive, al fine di evitare assembramenti e contrastare il diffondersi della pandemia. Scuole, uffici e luoghi di culto sono chiusi. Alle celebrazioni religiose possono partecipare solo un massimo di dieci persone, numero richiesto dall’ebraismo affinché un rito sia ritenuto valido.
«Nei giorni in cui si fa memoria della Passione – prosegue il francescano bergamasco, originario di Aviatico – , le restrizioni sanitarie impongono l’assenza forzata della folla festante. Anche noi religiosi siamo costretti in convento. Preghiamo e riflettiamo, come in clausura, riscoprendo ogni giorno la nostra vocazione all’austerità. Solo i superiori hanno il permesso di uscire per celebrare al Santo Sepolcro, che resta non accessibile al di fuori delle liturgie».
Nonostante i vari divieti, però, i luoghi in cui Cristo ha compiuto il suo sacrificio sono comunque animati dalla preghiera. I frati della Custodia ed i loro fratelli greci e armeni, infatti, si stanno impegnando per chiedere al Padre celeste la fine della pandemia, la guarigione dei malati, la protezione del personale medico, la saggezza di pastori e governanti e la salvezza eterna per coloro che hanno perso la vita. Inoltre, l’emittente Christian Media Center trasmette, via streaming, le celebrazioni in Terra Santa ai fedeli di tutto il mondo, ovviando così alla loro assenza.
«La scorsa domenica, ad esempio, monsignor Pizzaballa si è recato, ripreso dalla televisione, al santuario del Dominus Flevit, sul Monte degli Ulivi. Da lì, ha pronunciato un messaggio di speranza, prima di benedire Gerusalemme. Il 26 marzo, invece, è stata organizzata una preghiera interreligiosa, nella quale i capi delle diverse confessioni abramitiche si sono rivolti a Dio per chiedere la fine della pandemia. È stato un momento importante, che ha unito, nel rispetto della propria fede, cristiani, ebrei e musulmani».
L’esperienza della pandemia, infatti, annulla qualsiasi differenza. Anzi, avvicina più che mai gli ideali figli di Abramo, nella speranza di tornare presto alla normalità. Del resto, anche dopo l’Intifada del 2000, i pellegrini hanno ripopolato la Terra Santa. Nel mezzo, la constatazione della fragilità umana e, soprattutto, la Pasqua, il momento in cui Cristo ha vinto la morte. Più che mai nel segno della Resurrezione, nonostante il Covid-19.