Amore chiede amore: 25 anni fa la morte di sei suore delle Poverelle accanto ai malati di Ebola

Erano in prima linea nell’assistere i malati nell’ospedale di Kikwit in Congo, lontane dai riflettori. Poi, come i grani di un rosario doloroso, 25 anni fa, fra l’aprile e il maggio del 1995, sei suore delle Poverelle (4 bergamasche e 2 bresciane), una dietro l’altra, morirono sulla breccia, contagiate dall’allora semisconosciuto virus Ebola. Questi i loro nomi delle sei religiose (4 bergamasche e 2 bresciane). Floralba Rondi, 71 anni, di Pedrengo, la prima a morire il 25 aprile 1995, chiamata «mama Mbuta» dagli africani per la sua tenerezza verso i malati. Clarangela Ghilardi, 64 anni, di Trescore, che è stata un angelo per mamme e bambini. Suor Danielangela Sorti, 47 anni, di Lallio, che scrisse su retro di una fotografia: «Amore chiede Amore». Suor Dinarosa Belleri, 59 anni, di Villacarcina (Brescia), che diceva a tutti: «Io sono qui in Africa a servire i poveri». Suor Annelvira Ossoli, 58 anni, di Orzivecchi (Brescia), superiora provinciale, chiamata «la donna della vita» per i tantissimi bambini che aveva fatto nascere in 43 anni di missione. Suor Vitarosa Zorza, 51 anni, di Palosco, l’ultima a morire, il 28 maggio 1995: era corsa a Kikwit per assistere le consorelle, dicendo: «Perché devo aver paura? Le altre sono lì, in questo momento hanno bisogno di me». Le loro foto, con sullo sfondo il continente africano, sono appese in tutte le comunità delle Poverelle. Anche un cippo al cimitero civico di Bergamo le ricorda. Così pure nel centro sanitario di Kikwit, costruito dalle Poverelle con il contributo di molte persone, dedicato a queste sei suore martiri della carità.

Suor Mariarosa Cattaneo, responsabile del Centro studi della congregazione, ricorda la grande apprensione di 25 anni fa nell’istituto, nella diocesi e nell’intera società bergamasca. «Quando le comunicarono la notizia del primo decesso, l’allora superiora generale madre Gesualda Paltenghi disse: “Restiamo unite nella sofferenza, nella preghiera e nell’offerta. Suor Floralba ci ha lasciate per il Cielo proprio in questo momento. Il Padre, la Madonna e il Palazzolo l’avranno già abbracciata. Ci proteggerà dal Cielo». Successivamente le arrivò un fax da Kikwit. «Carissima madre generale, comprendiamo la tua trepidazione, ma siamo totalmente nelle mani di Dio. Nessuna evacuazione può essere fatta. È molto duro per voi e per noi accettare questa separazione dalle sorelle. Avvenimenti dolorosi ci hanno travolto, ma la vita della Congregazione deve continuare: la situazione è abbastanza drammatica soprattutto all’interno. Ma è necessario conservare la calma. A Kinshasa non ci sono focolai e tutte le strade verso l’interno sono bloccate. Anche le sorelle di Kingasani sono isolate in casa senza contatti. Le sorelle dell’interno le abbiamo sentite ora. Suor Daniela e suor Dina non stanno troppo bene. Ma le comunicazioni sono difficili. Con affetto vi abbracciamo».

Il processo diocesano per la loro beatificazione (114 sessioni, 50 testimonianze) è stato chiuso il 25 gennaio 2014 in casa madre dal vescovo Francesco Beschi, alla presenza dell’allora superiora generale madre Bakita Sartore. Analogo processo è stato avviato nella diocesi di Kikwit. «In queste sei vite — aveva affermato il vescovo — vediamo entusiasmo e passione nella consacrazione alle missioni fino alla donazione totale. Tutti le cercavano e le chiamavano “mamme” o “nonne”. Chi le ha conosciute ha affermato che erano sospinte dall’amore per Dio e per i fratelli e che la sera passavano molto tempo a pregare tanto da essere invitate a riposare. La carità verso i poveri è stata la loro regola. Hanno vissuto la vita religiosa nella fraternità, non esitando ad accorrere accanto alle consorelle che si erano ammalate come atto di fratellanza cristiana».

Il 25° anniversario della loro morte è motivo di ulteriore riflessione. «È importante rinnovare il ricordo della loro testimonianza e ravvivare la conoscenza delle sei consorelle — sottolinea suor Mariarosa —. Sono state testimoni di carità e strumento di evangelizzazione. Il loro esempio possa stimolare tutti nella scelta di realizzare la chiamata all’amore secondo la vocazione specifica di ognuno, a essere testimoni di carità e di fedeltà al Battesimo».