Covid-19: i cyberbulli si insinuano nelle lezioni a distanza

Didattica a distanza, didattica online… cyberbullismo. Improvvisamente una parola “ostile” si infiltra tra quelle che vorremmo essere “conquiste” del nostro sistema, quelle conquiste che ci stanno permettendo di andare avanti con la scuola in tempo di quarantena.
Improvvisamente si disvela una faccia della medaglia se non inaspettata scuramente sottovalutata per quanto riguarda la didattica fatta attraverso la rete. I problemi principali, sotto gli occhi di tutti, sono stati da subito la disponibilità delle connessioni, quella dei device (pc, tablet, smartphone), la competenza digitale di docenti e personale scolastico (i ragazzi, si sa, su questi aspetti sono avanti), la capacità di trasformare gli “appuntamenti in chat” in vere e proprie occasioni di interazione e di apprendimento. Su queste cose si sono concentrate scuole e famiglie, preoccupate da una parte dei risultati scolastici e dall’altra sollevate dal fatto che ragazze e ragazzi potessero occupare il tempo in modo “buono”, usando i soliti strumenti quotidiani addirittura per studiare.
Invece ecco l’intruso: cyberbullismo. L’allarme viene da Fondazione Carolina, nata nel febbraio 2018, in occasione della Giornata mondiale della sicurezza in rete, fondata da Paolo Picchio, in nome della figlia Carolina, prima vittima riconosciuta di cyberbullismo in Italia. Solo a marzo, tempo di didattica online, sono state 278 le segnalazioni arrivate alla Fondazione relative a fenomeni di cyberbullismo. 145 (il 52%) hanno avuto per vittime i ragazzi (con diffusione di foto e informazioni personali, insulti su gruppi whatsapp, pubblicazione di foto…) ma ci sono stati anche 74 casi (il 27%) di cyberbullismo rivolto ai docenti (anche in questo caso con diffusione di foto modificate, insulti durante le video lezioni, intrusione di estranei durante l’attività di docenza…). A questi numeri si aggiungono 23 casi di sexting, cioè condivisione di immagini intime di minori e 11 di revenge porn, di nuovo condivisione di immagini di minori, senza autorizzazione (già, perché in alcuni casi, come è noto, le immagini sono diffuse dagli stessi soggetti ritratti). E poi ci sono i gruppi telegram: Fondazione Carolina ne segnala 25, in cui vengono diffuse immagini private di minori.
Tutto questo a margine e incrociando il nostro tranquillo “online”. Senza che normalmente si sappia se non quando qualche fatto di cronaca viene alla luce, come è successo nel caso di una lezione di inglese di una scuola romana, dove i ragazzini hanno visto comparire sullo schermo immagini pornografiche.
Paolo Picchio fa riflettere dal sito della Fondazione: “Quando la noia si appiccica addosso, a dispetto dell’ambiente protetto, molti ragazzi cercano di scacciarla con la trasgressione, la ribellione e la violenza. E se le regole dei canonici contesti educativi fungono da deterrente, la privacy della propria cameretta può rivelarsi quel porto franco e sicuro per aderire a gruppi Telegram come ‘invadiamo video lezioni’, in cui i ragazzi si scambiano i link alle proprie aule virtuali per disturbare insegnanti e compagni”. Insomma, un allarme vero e proprio, che non dimentica inoltre il rischio ben conosciuto degli Hikikomori, dei ragazzi e delle ragazze “intrappolati” nella rete.
Allarme dunque. Attenzione moltiplicata. Non si tratta di agitare spauracchi, ma di far crescere consapevolezze (e competenze), perché l’educazione è cosa seria e delicata, a maggior ragione quando si avventura su strade nuove.