Come sarà il futuro dietro le mascherine? Sappiamo solo (per ora) di non sapere

So di non sapere: stiamo familiarizzando con la condizione del funambolo, sospesi nel vuoto, sapendo solo che dobbiamo andare avanti e restare in equilibrio sul nostro filo. Sono state già pronunciate tante parole su una cosiddetta “fase 2”, “post-emergenza” che incomincerà, ma non sappiamo quando (la data del 3 maggio, come le precedenti, appare ancora convenzionale e parziale, con molte variabili in gioco). Nel frattempo molte attività qui in Lombardia sono di fatto ripartite, con modalità diverse (come la consegna a domicilio). In questo contesto emerge una consapevolezza destabilizzante ma sotto certi aspetti benefica: nessuno, in questo momento, ha una ricetta pronta. Nessuno sa con precisione in quale direzione andare. E’ davvero difficile capire – per chiunque – che cosa accadrà “dopo” lo tsunami che ci si è riversato addosso con la diffusione del coronavirus. Il futuro è immerso in una densa foschia, anche perché siamo ancora troppo occupati dalla “cura”: per quanto tutti annuncino segnali di miglioramento (e ci sono, per fortuna) sono ancora numerose le persone malate in ospedale e nelle case. Dovremo portare con noi a lungo, poi, il senso di perdita lasciato dai numerosi lutti: un terremoto esistenziale che avrà molte ricadute.

La parola più bella secondo Leopardi è “forse”

Giacomo Leopardi ha scritto che “forse è la parola più bella del vocabolario italiano, perché apre possibilità, non certezze…perché non cerca la fine ma va verso l’infinito”.

Se diamo retta al poeta non dovremmo considerare l’incertezza come un male, anche se abbiamo tanto bisogno di certezze. Qualcuno ne ha bisogno subito, soprattutto dal punto di vista economico, e dovrebbero essergli date. Per il resto, però, un margine di variabilità può servire, cerchiamo di capire perché. Gli scenari che si delineano sono molto foschi, qualcuno paventa una crisi più grave della “Grande Depressione”, a livello globale. Le difficoltà, quelle economiche prima di tutto, si stanno già manifestando. Presto dovremo fare i conti con quelle sociali. Ci saranno anche battaglie che ognuno di noi dovrà combattere con se stesso, con i propri limiti, con le proprie paure: sarà forte la tentazione di prendere le distanze, non solo fisicamente, ma moralmente, dal dolore e dalle difficoltà degli altri.

Scenari e spunti di riflessione

Nel nostro dossier di questa settimana abbiamo provato a tratteggiare alcuni scenari, e sono affiorati molti spunti di riflessione di cui potremmo fare tesoro. “Siamo noi, uomini e donne, a fare la differenza” dice il sociologo Mauro Magatti: alla ricostruzione dovremo lavorare insieme, e il risultato dipenderà da quanta creatività, impegno, fatica, talento, sacrificio saremo disposti a mettere in gioco, da quanto avremo imparato, da quanto saremo disposti a cambiare. “L’immunità vera è la comunità” ricorda poi don Cristiano Re, direttore dell’ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro: questa è già una bella sfida per le comunità cristiane. L’immagine offerta da Papa Francesco la sera del 27 marzo, “siamo tutti sulla stessa barca” non ci è stata data invano. Quello che potrebbe servirci adesso è il coraggio di alzare gli occhi e di comporre “una visione d’insieme” da cui ripartire, che tenga conto di tutti, con un orizzonte ampio e articolato, perché ci sia davvero l’occasione di trasformare – concretamente – l’incertezza in possibilità, senza smettere di cercare la luce che attraversa le nostre crepe, perché molto dipende da ognuno di noi.

Foto di Giovanni Diffidenti