“Lina se ne è andata”. Variazioni (personali) sulla morte ai tempi della pandemia

“Mamma ci ha lasciato. Una preghiera”. Così telegraficamente, di prima mattina, Chiara. La mamma, Lina Distefano, una indimenticabile e indimenticata amica di Grumello, è appena morta. Non stava bene, ma si sperava comunque. La notizia di una morte è sempre così. Inevitabile sorpresa, la morte. “Anche Lina se ne è andata” è il commento dimesso e sconfortato che ci si scambia fra amici. Lina non è morta di coronavirus: si portava appresso complicazioni varie, ma tutte le complicazioni si erano ancora più complicate con la malattia più grave: le era morto il marito, pochi mesi fa. E da allora, lo diceva spesso ad alta voce, voleva morire anche lei. È stata accontentata e così si è accodata ai tanti, troppi morti di queste settimane, morti con tante lacrime e nessun funerale.

“Lina”

Che strano, chiamarla così, per nome, adesso che non c’è più. È strano perché chiamare per nome, significa dichiarare che ci si conosce, che ci si vuol bene. Ora posso dire che Lina la conoscevo benissimo, che le volevo bene, che avevamo con lei e con tanti altri, rapporti di bellissima amicizia. Ma lei, che era rigorosa insegnante di lettere, costaterebbe subito che i verbi sono passati tutti all’imperfetto. Chiamarla per nome vuole dire allora dichiarare una inguaribile nostalgia: certo che ci vorremo bene ancora, ma più come prima perché la morte ha tagliato i ponti: ci “volevamo” bene. La chiameremo ancora per nome ma lei non ci risponderà più. Possiamo solo immaginare che ci risponda e trarre consolazione da quell’immaginare e sperare che, in futuro, ci potremo chiamare ancora per nome. Ma non sappiamo come e non sappiamo quando. Il futuro non ci appartiene. È il mistero di questa valle oscura che si è scavata fra noi e lei.

“Se ne è andata”

Potremmo dire, semplicemente, che è morta. Ma, proprio perché quella morte ci pesa, la addolciamo così: “Se ne è andata”. Come se fosse partita per un viaggio, magari pieno di cose nuove da scoprire, di paesaggi meravigliosi, di città stupende, di gente simpatica… Dire che Lina se ne è andata è come dire che l’ha deciso lei, o, per le meno, che la partenza rientrava nelle sue aspettative. Per cui la si deve pensare felice e sperare, come con tutti i viaggi che finiscono bene, che Lina torni. Ma siccome Lina non tornerà, vogliamo sperare che saremo noi a raggiungere lei e a rivederla, a chiamarla ancora per nome. Dentro ogni annuncio di morte fa capolino una specie di ostinata speranza. Altrimenti, forse, non ci reggerebbe il cuore a doverne parlare.

Tanti se ne sono andati e continuano ad andarsene

In questo tempo di morte e di morti siamo ormai a corto di parole. Quando le morti sono ragionevolmente rare si ha tempo di concentrarsi e di parlarne come si deve. Un evento così straordinariamente unico, infatti, ha bisogno di parole uniche, pesanti, forti per essere raccontato. Ma tutte queste bare, tutti questi funerali mancati, ci fanno mancare anche le parole. La povertà delle morti di questi giorni è anche una straziante povertà di parole.

Arriverà, si spera, un giorno in cui toglieremo le mascherine, ci guarderemo in faccia, ci riconosceremo e potremo davvero chiamarci per nome. E anche quando qualcuno di noi ci lascerà non diremo che è il numero tale della serie interminabile di morti del tal giorno… Ma diremo “Gigi se ne è andato”, “Agnese se ne è andata”… Come Lina, che se ne è andata, uno di questi giorni, di prima mattina.