Il vademecum di Valerio Albertini sul coronavirus: “Abbiamo più armi di un secolo fa, quando si diffuse la Spagnola”

Nell’e-book “Conosci il tuo nemico” (Longanesi 2020, pp. 100, 3,99 euro) l’autore Valerio Rossi Albertini spiega “Cos’è, da dove viene e cosa ci insegna il coronavirus”, come recita il sottotitolo del testo. L’e-book, primo titolo della nuova collana “Clouds” di instant ebook della Longanesi ideata per offrire ai lettori strumenti agili e autorevoli per affrontare i nuovi bisogni sorti dall’emergenza che stiamo vivendo, è un vademecum diviso in otto capitoli agile e completo sul Coronavirus, per capire cos’è, da dove viene, quali sono i comportamenti corretti per difendersi e cosa occorre sapere per non averne (troppa) paura.

Ne parliamo con Valerio Rossi Albertini, fisico-chimico, primo ricercatore al Consiglio Nazionale delle Ricerche, docente di Divulgazione della Scienza presso l’Università Roma 2, che svolge attività di divulgazione in numerosi programmi televisivi delle reti nazionali ed è consulente scientifico delle reti Rai.

Quello che è accaduto lo scorso gennaio nella città cinese di Wuhan nella provincia di Hubei e che sembrava impensabile potesse avvenire in Italia, nel nostro Paese è diventata drammatica realtà nel giro di poche settimane. Si poteva prevedere una tragedia di tale portata? 

«Nel 2014 Bill Gates, fondatore di Microsoft e genio dell’informatica, fece un “TED talks”, cioè una conferenza di quelle spettacolarizzate. Nelle prime immagini che Gates mostrò fece vedere un fungo atomico dicendo: “Noi abbiamo paura che la prossima crisi mondiale sarà di questo tipo”. Poi Gates passò alla diapositiva successiva dicendo: “E invece sarà di questo tipo”. E c’era il Coronavirus sopra. Quindi sei anni fa qualcuno aveva lanciato l’allarme, ammesso che ci fosse bisogno di lanciare l’allarme, considerato che gli epidemiologi sanno bene che le epidemie si ripetono con una certa cadenza. L’ultima grande epidemia, non paragonabile a quella attuale, fu l’influenza detta “Spagnola”, avvenuta un secolo fa, che durò dal 1918 al 1920 e fece più morti della I Guerra Mondiale. Di fronte a un virus nuovo soprattutto se aggressivo, siamo impotenti come dimostra drammaticamente la situazione attuale, l’unico provvedimento che possiamo prendere è quello di stare separati, non abbiamo né farmaci antivirali né vaccini. Ciò vuol dire che eravamo inermi di fronte a una possibile diffusione virale di questo tipo. Il fatto che non fosse accaduto negli anni precedenti era dovuto a una serie di circostanze favorevoli. La SARS, la MERS erano potenzialmente epidemie che potevano sfociare in pandemie, ma invece si sono sviluppate con certe modalità, che hanno consentito di circoscrivere il focolaio epidemico. Sì, le epidemie si possono prevedere, non si può prevedere quando sarà e che di tipo. Ma che ci sarà si può prevedere».

Chi è il nostro nemico e come si trasmette il virus? 

«Il nostro nemico, come quasi sempre accade nelle epidemie, è un agente patogeno, che può essere un batterio o un virus come in questo caso. Con la differenza che mentre il batterio è un essere vivente, che svolge le sue funzioni e accidentalmente per il suo metabolismo, per l’assoluzione delle sue funzioni condanna il suo ospite, il virus invece è un agente infettivo obbligato. Il virus è un sistema biologico, biochimico, che ha bisogno di parassitare una cellula per potersi riprodurre. Il nostro nemico è un agente patogeno microscopico, silente, una scatola all’interno della quale c’è un corredo genetico. Finché sta fuori dalle cellule non arreca danno. Siccome si vuole riprodurre e non ha un apparato riproduttore, non ha organi suoi propri, deve parassitare quelli di una cellula. In questo caso le cellule sono quelle umane, perché l’ospite del virus in questo caso siamo noi. Come si diffonde? A questo stadio dell’epidemia si diffonde principalmente per contatto diretto, da persona a persona, attraverso le goccioline che vengono emesse naturalmente durante la respirazione, durante il dialogo o peggio ancora durante colpi di tosse o starnuti, in cui in questo caso le goccioline vengono proiettate in quantità e distanza maggiori. La cosa più saggia da fare in attesa del vaccino è seguire scrupolosamente tutte le indicazioni che le autorità sanitarie ci stanno dando. Rimanere a casa, limitare il più possibile i contatti e prendere tutte le precauzioni che ben sappiamo quando siamo costretti a uscire, cioè indossare guanti usa e getta e mascherine».

L’influenza detta “Spagnola” era comparsa all’improvviso nelle fasi finali della I Guerra Mondiale e nei due anni successivi ha mietuto oltre 50milioni di vittime in tutto il mondo. Rispetto a quella pandemia, che strumenti abbiamo in più e quali invece sono le criticità? 

«Siamo disarmati adesso come lo erano allora i nostri avi, nel senso che non essendoci un vaccino, e nemmeno un farmaco, l’unica cosa da fare è cercare di prevenire il contagio. Ora abbiamo la possibilità di intervenire anche sui malati gravi tentando di aiutare l’organismo a reagire all’aggressione virale, pensiamo ai reparti di terapia intensiva negli ospedali. Un secolo fa non c’era ancora la consapevolezza di quello che stava accadendo, stava terminando il conflitto e la malattia non era la priorità da sconfiggere. La “Spagnola” ebbe una diffusione maggiore della pandemia attuale, che è ancora relativamente circoscritta. Altre armi nell’immediato non le abbiamo, nel medio periodo c’è la probabilità consistente che si riesca a sintetizzare un vaccino e produrlo su vasta scala e quindi immunizzare gran parte della popolazione. Del resto l’immunità di gregge garantisce anche chi non possa vaccinarsi o è immunodepresso, perché ci sono altri immuni che fanno da scudo».

C’entra lo smog con il picco di morti e contagi da Coronavirus in Lombardia, regione più esposta di altre aree italiane all’inquinamento atmosferico prodotto dalle industrie, riscaldamenti e dal traffico automobilistico? 

«Questa è un’ipotesi di lavoro sensata: la regione padana nella sua interezza è la più inquinata sotto l’aspetto aereo di tutta Europa. È chiaro che se il sistema respiratorio non è più nelle condizioni ottimali, perché c’è una compromissione dovuta a respirazione frequente di aria viziata, che possa essere un fattore predisponente è cosa ragionevole supporlo. Però non ci sono evidenze sperimentali, bisognerà fare delle indagini epidemiologiche per capire se c’è effettivamente una correlazione. È un’ipotesi che non può assolutamente essere scartata a priori».

L’ultimo capitolo del libro riguarda le tante leggende metropolitane nate intorno al Covid-19. Qual è la più assurda? 

«La più assurda è quella che possa essere il segnale telefonico a farci ammalare o a predisporre favorevolmente l’aggressione da parte del virus. Quella che è più insidiosa, perché a priori non era destituita da fondamento, era che il Coronavirus potesse essere un’arma biologica sintetizzata in laboratorio e utilizzata ad arte, forse da bioterroristi, perché nessun Paese al mondo si avvantaggia della diffusione pandemica del Coronavirus. Un’altra ipotesi che avanzavano era che il Coronavirus fosse sì un’arma biologica, sfuggita di mano, siccome era molto aggressiva è bastato un campione accidentalmente diffuso nell’ambiente a innescare questo processo a catena. Sono stati fatti degli studi, che hanno dimostrato inequivocabilmente che il virus è un virus naturale. Nessun laboratorio sarebbe in grado di fare quello che appare facendo l’analisi del DNA del Coronavirus».

Devolverà il ricavato di questo libro al Policlinico di Modena. Papa Francesco ha definito “Medici, infermieri e preti i crocifissi di oggi” al tempo della pandemia. Che cosa ne pensa?

«È un’espressione che rende molto bene il senso del sacrificio, della dedizione, dell’abnegazione di questo personale, che si prodiga per il bene comune. Molti medici e infermieri sono morti per prestare la loro opera. Non dimentichiamo anche il personale delle ditte che si occupano della sanificazione degli ospedali. Vanno in ambienti contaminati e spesso non hanno neanche la competenza di un medico, disposti ad andare a rischiare la propria vita per il bene comune. Tutti loro potremmo definirli “eroi civili”».