Il coronavirus e le antiche magagne del paese Italia

Covid-19 dispone, a quanto pare, di una grande forza propulsiva di accelerazione dei cambiamenti rispetto sia agli assetti del mondo sia a quelli dei singoli Paesi. Se Ebola e Sars furono i virus dei poveri, Covid-19 è assai più interclassista, è diventato anche il virus dei ricchi. Perciò l’intera organizzazione della vita sociale, dalla produzione, al lavoro, al commercio, al tempo libero, dai tribunali agli istituti scolastici, dalle chiese agli stadi ne uscirà profondamente modificata. Molti cambiamenti saranno irreversibili.

I molti antichi vizi e le poche nuove virtù

La coscienza pubblica è sulla stessa lunghezza d’onda? Prevale la presa d’atto della necessità di innovazioni socio-economiche, culturali e politico-istituzionali o è più la voglia di riprendere antichi vizi? Il virus ha certamente suscitato energie civili e sociali e risposte collettive straordinariamente generose; nella solitudine dell’assedio abbiamo riscoperto le virtù civili.

Tuttavia, Giuseppe De Rita ha appena fatto notare che, mentre all’indomani delle distruzioni della Seconda guerra mondiale il fervore della ricostruzione non contava sullo Stato, se non per l’essenziale ordine pubblico, oggi molti pretendono il rimborso a pie’ di lista anche per la compromissione delle vacanze estive e per ogni turbamento dello status quo ante: un mix contraddittorio di solidarismo e cultura del declino assistito. D’altronde, le cattive abitudini sono solide: nel 2018, il 44% dei redditi risulta inferiore a 15 mila euro, mentre sono 12,6 milioni i contribuenti che non versano 1 Euro di Irpef. Italiani generosi verso la società civile, ma tirchi verso lo Stato, fino all’evasione/elusione fiscale, cioè verso la collettività.

La stessa febbre di innovazione e del “nulla sarà più come prima” tocca anche il sistema politico? Non pare. Eppure, nel corso di questi due mesi Covid-19 ha messo in evidenza impietosamente le impotenze e le inadempienze del sistema politico, cioè dello Stato politico, dello Stato amministrativo e del sistema dei Partiti. Il Paese dispone di un’istituzione-Governo debole e di un cattivo Stato amministrativo. Il Governo è frammentato in una miriade di poteri, la cui sostanza reale sono le corporazioni che tengono in ostaggio il Paese, in nome e in forza del loro interesse particolare, e che si disputano l’accesso alle risorse pubbliche, all’insegna del principio: “a ciascuno secondo la sua capacità di minaccia”.

La costituzione di Comitati governativi e ministeriali, pieni di “esperti”, ben lungi dallo stabilire un collegamento tra il Governo e la società civile, segnala pubblicamente l’inconsistenza, l’indecisionismo e la mancata assunzione di responsabilità di chi governa oggi.  Lo Stato amministrativo, catafratto nel Diritto amministrativo, si è trasformato in un Leviatano burocratico. E i partiti? Scomparsi dalla società civile, sono diventati un’articolazione interna dello Stato politico. Questa è la condizione del sistema politico quale viene consegnata a ciascuno di noi – paziente e medico al tempo stesso – da leggere nel referto radiografico propinatoci dal dott. Covid-19.

Se i due mesi trascorsi sono stati traumatici, il futuro sanitario ed economico del prossimo anno si prospetta anche più drammatico. Sta già scritto nel progetto di DEF: Pil al -8%, Deficit al +10,4%, Debito al 155%. Le conseguenze sociali sono facilmente prevedibili: disoccupazione e povertà in aumento vertiginoso, periferie urbane e aree di abbandono e di sottosviluppo attraversate dalla “collera dei poveri”. Sui 55 miliardi destinati alla spesa immediata già si addensano stormi di cavallette dell’assistenzialismo e del clientelismo del M5S e della sinistra meridionale.

Che lo Stato politico – costruito sulla base delle culture politiche dei primi trent’anni del ‘900 –  e che lo Stato amministrativo – preso di peso dalla tradizione napoleonica – siano ormai radicalmente inadeguati era già chiaro da qualche decennio, quanto meno a partire dal 1989. Costruiti su misura per uno Stato nazionale, sono diventate macchine arrugginite nell’epoca della globalizzazione e del disordine mondiale. Questo Stato non è più in grado di fare di fungere da infrastruttura della società civile, legata a mille fili all’Europa e al mondo.

La Costituente è un circolo vizioso?

La posta in gioco del tempo presente non consiste solo nell’ardua impresa di fermare, qui e ora, il declino da coronavirus e di rimettere in carreggiata il Paese. Si tratta di costruire nuove istituzioni. E’ tempo di spirito costituente. Solo in questa prospettiva ha senso un governo di unità nazionale transpartitico. Sono presenti tanto nella società civile quanto nella politica dei partiti uomini e donne che hanno afferrato lo spirito e le urgenze del tempo. Nella sinistra: da Gualtieri, a Bonaccini, a Decaro, a Gori, a De Luca, a Renzi…; in Forza Italia: da Berlusconi, a Taiani, a Gelmini, a Carfagna, a Brunetta…; nella Lega: da Zaia, a Giorgetti, a Garavaglia, a Bossi, a Maroni, … In ogni partito, dietro a loro vengono centinaia di quadri politici e amministrativi.

Da questi uomini/donne è necessario ripartire per ricostruire il Paese e il suo futuro. Non ne esiste altri.

Viene spesso obbiettato dai cinico-realisti che sì, si può convocare un’Assemblea costituente o trasformare il parlamento attuale in Parlamento costituente, ma la Costituente finirebbe inevitabilmente per rispecchiare i rapporti di forza e le culture politiche esistenti. Alla fine il prodotto è sempre e solo la somma degli addendi esistenti. Dunque, un circolo vizioso. In forza di tale logica, siamo inchiodati da decenni nello stato di cose presente. Nessun partito prende sul serio la questione costituente o lo fa solo quando si muove sul 40% dei consensi, con l’intenzione non occultabile di dettare l’agenda. Così gli altri partiti si schierano contro. L’esito del referendum del 2016 è un classico.

Quello che dovrebbero fare i partiti

I partiti devono in realtà rispondere alla domanda di riforma delle istituzioni e della burocrazia che si leva dalla parte più matura del Paese, da quella più esposta sul fronte della competizione internazionale. La prima risposta che i partiti devono fornire è quella della legittimazione degli avversari. Finché si prolunga, sotto nuove spoglie, il reciproco assedio che ha caratterizzato la Prima repubblica, non c’è via d’uscita. Infatti, non ne siamo usciti. Se ciascuno riconosce all’altro il diritto/dovere di fare institution building, allora sarà più facile trovare un accordo che preveda come primo step la definizione di un Governo forte, di nuovi assetti semi-presidenziali, dell’abbandono del parlamentarismo. Un Governo democratico forte potrà finalmente tentare di addomesticare il Leviatano burocratico, di ridisegnare un federalismo rigoroso, che distingua nettamente, in primo luogo sul piano delle responsabilità fiscali, Comuni, Regioni – dimezzate di numero – Stato centrale…

Proprio perché viene avanti un’urgenza drammatica immediata di ricostruzione, è necessario uno sguardo di progetto. Giorgio Tonini ha fatto la proposta suggestiva, in relazione alla ripartenza necessaria dell’ideale europeo, di indire un nuovo Concilio di Trento. Starei molto più basso. Il Concilio di Trento perseguì ostinatamente per vent’anni la spaccatura religiosa e civile dell’Europa. Per quanto riguarda l’Europa, meglio accontentarsi di una delle prime Diete di Augusta, in cui Carlo V e il milanese Card. Giovanni Morone tentarono, benché invano, la riconciliazione religiosa dell’Europa. Per quanto riguarda l’Italia, il nostro Concilio di Trento si chiama Assemblea costituente. In mancanza di questa, la politica italiana proseguirà nella sua ordinaria inconcludenza, mascherata da fibrillazione permanente, e nel patologico declino del Paese, cui fa da contrappunto il chiacchiericcio insopportabile dei mass-media, dediti alla politica politicante invece che all’informazione sullo stato reale del Paese.

E’ questo il momento dei “Liberi e forti”.