Seconda puntata della rubrica per raccontare il Ramadan e capire meglio e più da vicino che cosa accade in questo periodo nelle comunità musulmane che vivono tra di noi. Questa proposta nasce in collaborazione con l’Ufficio diocesano per il dialogo interreligioso di Bergamo: un’iniziativa culturale a sostegno della conoscenza reciproca e del dialogo. Protagonista di questo “diario” è una giovane studentessa universitaria che vive e lavora nella nostra provincia. Leggi la prima puntata qui.
Il primo giorno di Ramadan è arrivato. Sveglia alle 4 per consumare il suhur, un piccolo pasto prima dello scoccare del fajr, la preghiera dell’alba. Ancora assonnata addento un pezzo di focaccia impregnato di marmellata. Provo a bere più acqua possibile per rimanere idratata ma lo stomaco è presto riluttante ed esorta di finire dopo pochi morsi e sorsi. Mi risveglio più tardi e dopo qualche ora di lavoro mi sento la testa scoppiare per la negata dose di caffè mattutina. Arriva la pausa (senza) pranzo e la sfrutto per riposare, quando all’improvviso ricevo una notifica sul cellulare. Lo schermo si illumina, è un amico che mi manda una lettera di auguri per il Ramadan da parte dell’Ufficio per il Dialogo Interreligioso. Apro il file pdf e comincio a leggere. Si rivolge a tutta la comunità musulmana bergamasca e come data e luogo riporta “Bergamo, 19 aprile 2020 / 26 Sha`ban 1441”. Ammetto che mi fa un certo effetto vedere la mia città traslata in un tempo che non avevo mai visto riconoscere appieno come suo, o forse non ci avevo mai fatto caso. Non mi sono ancora addentrata nella lettura, ma è bastato quel particolare a sollevare una forte sensazione di appartenenza a questa terra che a volte ho faticato a sentire mia. Sono auguri per un Ramadan Mubarak, un Ramadan benedetto ma anche un auspicio per rafforzare i legami già condivisi nell’amicizia tra cristiani e musulmani. Un desiderio ancora più forte in questo periodo dove entrambe la comunità hanno dovuto sacrificare un aspetto importante sia di Pasqua che del Ramadan, le celebrazioni e le preghiere collettive. Continuo con lo scorrere delle frasi e capisco che dopotutto non siamo così diversi, come squadre di provincia che si uniscono in occasione di competizioni più grandi. Rifletto ancora una volta sul senso di questa pandemia, che nell’orrore ha portato anche qualcosa di buono, il pensiero sincero sia per il prossimo che per chi è sempre stato presente e abbiamo trascurato. Chiudo la lettera e scorro altri messaggi di auguri di parenti e amici che mi travolgono con una scarica di energia talmente grande che pure quel mal di testa, quasi quasi è passato.
Nadia El Ghaouat