Covid-19, Giuseppe Remuzzi: “Ora tocca alla ricerca. L’obiettivo è il vaccino”

Ormai è acclarato, la cura per combattere il Covid-19 esiste, la via per ottenerla è solo una: la ricerca. La provincia di Bergamo è quella che ha pagato il tributo più alto in termini di morti e malati, i medici e gli infermieri si sono prodigati fino allo spasimo nelle terapie intensive degli ospedali per cercare di salvare i pazienti. Alcuni di loro si sono salvati, quasi miracolosamente, invece, purtroppo, molti altri sono morti, troppi, soli, lontani dai loro familiari con il solo conforto degli operatori sanitari, oltre 27 mila finora secondo il conteggio ufficiale in tutta Italia. Adesso che è stato raggiunto il picco della pandemia, siamo sul “plateau” della curva, che ha smesso di crescere in maniera esponenziale e i pazienti ricoverati nelle terapie intensive calano, l’obiettivo è solo uno: il vaccino, perché una cosa è certa: una volta entrati nella Fase2 bisognerà convivere con il distanziamento sociale e il virus fino al vaccino.

Ne parliamo con il Professor Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, autore di oltre 1440 pubblicazioni su Riviste Internazionali e di 16 libri, oltre che editorialista del “Corriere della Sera”.

Professore, è verosimile che il dramma che stiamo vivendo in Italia e sta costringendo la popolazione alla quarantena, abbia avuto inizio da un pipistrello che ospitava il virus, poi trasmesso al pangolino, formichiere in via d’estinzione, le cui carni delicate vanno a ruba nell’estremo oriente asiatico, carni vendute nel mercato di Wuhan, nella provincia dell’Hubei, nella Cina centrale?

«È assolutamente verosimile. Tutto questo accade per le abitudini che ci sono in questi mercati umidi, esistenti non solo in Cina ma anche in altre parti dell’Asia, per esempio in Cambogia, nel Laos, in Vietnam, dove questi animali disidratati, affamati, malati, vengono stipati uno sopra l’altro, con una certa commistione fra loro, in gabbie molto piccole, sporche. Si mescolano animali domestici, addirittura ci sono cani, con animali selvatici. Le persone vogliono mangiare queste carni che sono macellate fresche. Inoltre, questi sono animali immunodepressi e quindi liberano qualunque agente patogeno di cui sono portatori. Queste sono le condizioni ideali per la diffusione di quello che chiamiamo “zoonosi”, cioè malattia infettiva degli animali, soprattutto in quanto trasmissibile all’uomo. Uno dei problemi che c’è in questo mondo globale che sottende le pandemie, è che i medici e i veterinari non lavorano insieme. In realtà medici e veterinari dovrebbero avere un corso di laurea molto vicino, lavorare insieme, incontrarsi, perché tutte queste condizioni dei mercati, come quello di Wuhan, creano le condizioni per trasmettere all’uomo direttamente attraverso contatto con la pelle, uova, sangue, secrezioni, tutti questi materiali infetti, che poi sono la causa di queste pandemie. Il pipistrello è un portatore di questo Coronavirus da moltissimi anni. Questi animali, che vivono nel loro mondo non creerebbero nessun problema all’uomo, ma se noi trasformiamo il Pianeta in qualcosa che è in funzione dell’uomo, allora questi rischi diventano sempre più alti. In fondo questa pandemia non è diversa dalla preoccupazione che dobbiamo avere per il clima, per il riscaldamento del Pianeta o per l’acidificazione dei mari. Tutto quello che sta accadendo, pian piano porterà alla distruzione del Pianeta, perché siamo in troppi e ciascuno in sostanza fa ciò che vuole. Anche l’accordo di Parigi sul clima del 2015 non sarà rispettato, tutto questo perché continuiamo a lavorare in funzione dell’uomo».

Perché così tanti morti, soprattutto – ma non solo – anziani e persone con patologie pregresse, da Covid-19 nel Nord d’Italia e soprattutto in Lombardia?

«Questa malattia fa morire soprattutto gli anziani e le persone che hanno altre malattie, questo ormai è assodato. Gli anziani poveri, le persone con malattie pregresse muoiono di più di quanto non muoiano le persone più giovani e che non hanno malattie. In Lombardia c’è stata la presenza di questi due focolai, uno a Codogno e l’altro all’ospedale di Alzano e a Nembro. Non credo che non siamo stati capaci di proteggere i malati più fragili come avremmo dovuto, la pandemia ha colto tutti di sorpresa. Proteggere gli anziani voleva dire chiudere tutte le case di riposo e non fare entrare nessuno. La strategia qui è quella di separare le persone che hanno il Coronavirus, e quindi sono infette, dagli altri, questa è la strategia vincente, che è stata adottata a Wuhan e ha risolto il problema nel giro di poco tempo».

È vero che chi ha fatto il vaccino per l’influenza resiste meglio al Covid-19, oppure è una questione personale di difese immunitarie?

«Non lo sappiamo, lo stiamo studiando. Le conoscenze che ci sono adesso suggeriscono che per avere un vaccino che protegga, ci vorrà un vaccino specifico per qualcuna delle proteine virali, che inducono l’immunità e che non sono quelle dell’influenza. Però ci sono tanti vaccini, per esempio il vaccino per la tubercolosi, che potrebbero dare un grado di immunità protettiva non necessariamente contro quel virus, ma l’organismo riesce a rispondere meglio, perché ha visto tanti altri agenti virali, magari anche simili e quindi può rispondere di più. Per esempio un lavoro recente ha scoperto che c’è un’immunità crociata fra i Coronavirus che causano il raffreddore e questo Covid-19.

Paradossalmente una persona che ha il raffreddore può sviluppare un’immunità che al momento giusto gli può servire anche per il Coronavirus. Ma non bisogna semplificare questa affermazione dicendo che se uno ha il raffreddore è protetto dal Coronavirus, perché sarebbe un’affermazione errata. Però ci delle evidenze in letteratura di una immunità crociata fra Coronavirus del raffreddore e del Covid-19».

Come funzionano i test sierologici per ottenere la patente di “immunità” dal Coronavirus e la patente di immunità serve davvero?

«La patente di immunità non c’è. Per adesso non abbiamo nessun test che ci consenta di dire: “Questa persona è immune e non contagerà nessuno”. Abbiamo due tipi di indagine: Il tampone faringeo e nasale, che ci consente di sapere se il giorno che viene fatto quel tampone, quella determinata persona è portatore del virus, cioè ha addosso il virus oppure no. Questo tampone però fotografa solo il momento nel quale viene eseguito, il giorno dopo una persona che l’aveva negativo, potrebbe averlo positivo, non dà sempre un risultato sicuro per due ragioni.

Primo perché l’affidabilità non è del 100%, poi a seconda di chi esegue il test di laboratorio può essere variabile, tanto è vero che all’inizio i tamponi venivano convalidati dall’Istituto Superiore di Sanità, quindi occorreva molto tempo per sapere se un individuo fosse positivo o no.

La seconda ragione è che dipende da dove uno fa il tampone e chi lo fa, perché è un tampone come quelli che si fanno per lo streptococco dei bambini. Si va con un cotton-fioc nella gola e nel naso, ma in quel punto può esserci il virus e si campiona o può essere un pochino spostato e non si evidenzia. Quindi il tampone può essere falsamente negativo per una ragione di prelievo. C’è sempre un’area grigia nel tampone, non sei mai completamente sicuro. Comunque rimane il migliore strumento che abbiamo per fotografare la situazione.

I test sierologici si dividono in due tipi, il test rapido, quello che si fa con la puntura del dito e l’altro è l’ELISA, che è un test più complesso e va a vedere gli anticorpi, dopo aver fatto un prelievo di sangue. Entrambi i test ti dicono due cose: se non si è mai venuti in contatto con il virus, cioè quando non si trovano immunoglobuline, oppure dicono che si è venuti a contatto con il virus, perché si trovano immunoglobuline.

Le immunoglobuline sono tre: IgG, IgA e IgM. Le IgM sono quelle che cominciano a formarsi subito nei primi giorni dopo l’infezione, quindi se si trovano le IgM vuol dire che l’infezione è stata contratta da poco, se si trovano le IgG vuol dire che l’infezione la si ha avuta da circa quindici giorni, al massimo un mese, un’infezione quindi non così recente. A questo punto uno sa che ha contratto il virus se è positivo ma non sa se è contagioso.

Quindi chi ha il test positivo per le immunoglobuline, ha avuto l’infezione ed è probabilmente protetto, o quasi sicuramente protetto per un certo numero di mesi, ma non è detto che non possa trasmettere l’infezione.

In teoria bisognerebbe fare test sierologici, confermarli con l’ELISA e fare il tampone.

Queste tre cose dicono esattamente se uno ha la possibilità o meno dopo aver fatto l’infezione, dopo essere guarito, dopo aver sviluppato gli anticorpi, di trasmettere ancora il contagio.

C’è ancora molta ricerca da fare, l’Istituto “Mario Negri” si sta muovendo in tal senso, lavoriamo per ottenere una sofisticazione notevole nelle conoscenze di questi test. C’è ancora molto da conoscere».

Che cos’è l’immunità di gregge, scelta iniziale di Boris Johnson in Gran Bretagna, e secondo una rivelazione del “Washington Post”, anche Trump avrebbe chiesto informazioni sull’eventualità di attuarla all’immunologo Anthony Fauci, il massimo esperto americano in malattie infettive di origini italiane e consulente del Presidente degli Stati Uniti, il quale avrebbe risposto: “Presidente, molte persone morirebbero”.

«L’immunità di gregge è l’immunità sociale o di comunità e si raggiunge quando la maggior parte delle persone sono immuni, cioè hanno gli anticorpi. Quindi il virus che cerca di andare da una persona all’altra attraverso i contatti (darsi la mano, abbracciarsi, starnutire, tossire), non trova mai nessuno a cui attaccarsi. È quello che accade per esempio con il morbillo, quando si vaccina contro il morbillo il 95% della popolazione, quelli che non si sono vaccinati acquistano vantaggio da quelli che si sono vaccinati. Si può fare lo stesso con questo virus, come avrebbe voluto fare il Premier britannico ma per farlo muoiono tantissime persone, perché un conto è il vaccino che dà l’immunità senza far morire, un conto è acquisire l’immunità attraverso la malattia. La mortalità del Covid-19 è intorno al 2,5/3%, se non si isolano le persone contagiose e si lasciano andare in giro infettando tutti, ogni cento che infettano, tre muoiono. Considerato che siamo 60 milioni di persone, centinaia di migliaia di persone morirebbero nel nostro Paese per ottenere l’immunità di gregge, che è comunque molto difficile da ottenere così, perché occorre aver esposto l’intera popolazione alla malattia».

A fine aprile in Inghilterra si sono avviati i test accelerati sull’uomo su 550 volontari sani, del vaccino contro il Coronavirus messo a punto dall’azienda Advent-Irbm di Pomezia insieme con lo Jenner Institute della Oxford University. Quindi se la cura esiste, e se l’obiettivo è il vaccino, la via per arrivarci passa attraverso la continua ricerca?

«Sì, speriamo di ottenere presto la cura per guarire dal Coronavirus. Stiamo elaborando un lavoro non scientifico ma di buon senso, più che altro una raccomandazione su quello che potrebbero fare i medici di base. Alcuni lo fanno già, cioè cercare di far guarire gli ammalati a casa mentre stanno ancora relativamente bene. Somministrare una piccola dose di cortisone, un antinfiammatorio non steroideo, non quelli classici, perché quelli classici sembrano fare peggio, e calciparina, una eparina che si fa sotto cute, ed è un farmaco che protegge il sangue dal coagulare. Questo è molto interessante, perché ci siamo resi conto che questi malati muoiono soprattutto di trombosi, di embolia polmonare. Questo abbiamo scoperto in questi giorni. Sì, il nostro obiettivo è il vaccino e la via per arrivarci passa attraverso la continua ricerca. È tanto tempo che diciamo che attraverso la ricerca noi possiamo capire meglio queste cose e di conseguenza trovare soluzioni che semmai sono già disponibili. È quello che sta succedendo».

Sta per avviarsi la Fase2. Cosa accadrà?

«Speriamo bene, la Fase 2 è inevitabile, perché non si possono tenere le persone chiuse sempre in casa, altrimenti sarebbe peggio per altri aspetti. Occorre grande attenzione soprattutto nei confronti delle persone anziane, fragili. Sostanzialmente la Fase 2 dipende da noi. È stato detto da tutti e lo dico anch’io. Mascherina, guanti di gomma, lavarsi frequentemente le mani, mantenere il distanziamento sociale. Se siamo prudenti ed evitiamo i luoghi affollati è probabile che la Fase 2 possa andare bene e non causare grandi problemi, mentre il virus piano piano perde la sua forza, cosa che sta già succedendo, perché i pazienti che arrivano ora negli ospedali sono meno malati di quelli di due settimane fa. Dobbiamo evitare il rischio di una seconda ondata di contagi come sta accadendo ora a Singapore».