Primo maggio ai tempi del Covid-19. Il vescovo Francesco Beschi: “Ripartire esige senza sconti la condivisione di tutti”

Quest’anno il Primo maggio, festa dei lavoratori, cade in un periodo particolare: nel pieno dell’emergenza coronavirus, alla vigilia della prima riapertura, in un clima generale di profonda incertezza che riguarda tutti gli ambiti, ma in modo particolare quello economico e professionale.

La terra bergamasca è stata pesantemente segnata dai lutti: oltre cinquemila morti, ancora in continuo aggiornamento. L’emergenza ha colpito in modo pesante molte categorie, ma in particolare quelle del commercio, della ristorazione, del turismo, della cultura, dei precari, dei freelance, del lavoro “sommerso”. 

Ci sono famiglie rimaste all’improvviso senza reddito, altre lo hanno visto ridursi in modo marcato, altre vivono con la consapevolezza piena d’angoscia che presto l’onda lunga della crisi finirà per colpirle. Non sappiamo ancora di preciso con che cosa dovremo misurarci dal 4 maggio, con l’inizio della fase 2. E’ in questo contesto che il vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, offre il suo messaggio per questa giornata, raccogliendo tutta la complessità di questa situazione e accompagnandola con un invito alla speranza, all’impegno concreto nella solidarietà e nella ricostruzione “senza sconti né incertezze”. La Messa del Primo maggio sarà celebrata come avviene per tradizione in un luogo di lavoro: appuntamento alle 10,30 in diretta su BergamoTv e su www.ecodibergamo.it dalla Cantina sociale Bergamasca di San Paolo d’Argon. Le Acli di Bergamo promuovono invece per il 30 aprile dalle 18,30 una serie di riflessioni in streaming sui social sul tema “Fondata sul lavoro” che poi resteranno disponibili sugli stessi canali. Intervengono Roberto Rossini, don Fabio Corazzina, Alessandro Sipolo, Lidia Maggi e Marta Pancheva.

Il testo della lettera del vescovo monsignor Francesco Beschi:

Care lavoratrici e cari lavoratori,
desidero raggiungervi in occasione della Festa del Primo Maggio, che quest’anno assume una fisionomia e un significato di particolare valore.

Sono state settimane e ormai mesi in cui le nostre famiglie e comunità, le nostre attività agroalimentari, manifatturiere e industriali, i servizi nel loro ampio ventaglio hanno subito la violenza del contagio che, particolarmente nel nostro territorio, ha manifestato la sua potenza devastante. I contagiati, i malati, i morti hanno scalato cifre da sgomento e questo è stato il sentimento che nei giorni più oscuri ci ha attraversato.

Dobbiamo riconoscere che proprio in quei giorni abbiamo visto non solo la solidità ma anche la solidarietà di cui siamo capaci. Il lavoro, la competenza e la dedizione di lavoratori e lavoratrici nel campo della sanità e dell’assistenza, della cura e della protezione, della sicurezza sociale in tutti i suoi aspetti, della scuola e della produzione, non sono semplicemente una parentesi da ascrivere ad un’emergenza non misurabile e neppure la risposta dovuta a bisogni essenziali, ma anche e soprattutto la testimonianza di un interiore convincimento, che si è rivelato in maniera limpida e degna di ogni ammirazione.

Dobbiamo riconoscere a noi, prima che di fronte ad altri, che questi convincimenti capaci di renderci degni della nostra umanità, in qualche modo hanno sorpreso noi stessi, oltre che il mondo intero: la cappa di indifferenze, rancori, diffidenze e spregiudicate concorrenze che sembra averli schiacciati nell’angolo più recondito del cuore e della coscienza, è stata sbalzata via, come la pietra che chiudeva il sepolcro di Gesù nel momento della sua risurrezione.

Ora quella violenza è passata, appunto come un uragano: restano conseguenze non meno gravi e dolorose delle cause che le hanno prodotte. Resta all’orizzonte la possibilità di una nuova irruzione. Ripartiamo, ricominciamo, rinasciamo, risorgiamo: non è una marcia trionfale ed esige senza sconti o incertezze la convinta “condivisione” di tutti. Una condivisione in cui non hanno posto secondi fini, egoistiche furberie, disprezzo di quei convincimenti che sono stati il nerbo della risposta determinata alla virulenza del morbo.

Care lavoratrici e lavoratori, imprenditori e dirigenti, siamo consapevoli della gravità della situazione che il mondo del lavoro sta affrontando. le difficoltà non sono mai mancate, ma la complessità delle attuali condizioni e l’interdipendenza di tutti da tutti le rende particolarmente impegnative.

Il genio e l’intelligenza, l’esperienza e la competenza, il senso di responsabilità e la determinazione appartengono alla cultura del lavoro della nostra storia e della nostra terra. Dal profondo delle radici o se volete delle sorgenti di questa storia e di questa cultura possiamo attingere le motivazioni e i criteri morali che diventano garanzia non solo di un progredire nel segno della giustizia, ma anche degli consolidamento sociale ed economico. Ho avuto riscontro da molti, che la forza spirituale che viene dalla fede cristiana si è rivelata particolarmente significativa nello stare nella prova senza lasciarsi travolgere dalla disperazione. Condividiamo gli uni con gli altri quelle ispirazioni fondamentali che alimentano una speranza più forte di ogni difficoltà. L’Eucaristia che come ogni anno, anche se in condizioni diverse, celebrerò per rendere grazie al Signore per tutti voi, per i vostri cari, per i defunti, possa rappresentare il segno di un Dio che per non abbandonarci si è fatto pane per l’intera umanità.

Con affetto e la Benedizione

vescovo Francesco