Continua la nostra rubrica per raccontare il Ramadan e capire meglio e più da vicino che cosa accade in questo periodo nelle comunità musulmane che vivono tra di noi. Questa proposta nasce in collaborazione con l’Ufficio diocesano per il dialogo interreligioso di Bergamo: un’iniziativa culturale a sostegno della conoscenza reciproca e del dialogo. Protagonista di questo “diario” è una giovane studentessa universitaria che vive e lavora nella nostra provincia. Leggi la prima puntata qui e la seconda qui.
Sono in fila davanti a una decina di persone per entrare al supermercato. Prendo la monetina per il carrello mentre rimango impressionata dal silenzio tombale che avvolge il parcheggio. Dopo qualche minuto di attesa, varcata la porta automatica, sembra di essere stata catapultata in un mondo parallelo. E’ una confusione totale, le regole della distanza di un metro non valgono più. Da sopra le mascherine, scorgono sguardi di uomini spaesati mentre cercano di distinguere le zucchine dai cetrioli. Altri al telefono che chiedono l’aiuto a casa per capire se va bene il pomodoro tondo o quello ciliegino. Prendo dalla tasca la lista della spesa scritta con un italiano stentato da mia mamma e comincio a cercare il necessario. Servono poche cose. Durante il Ramadan la spesa si riduce ai minimi termini e si acquista solo ciò che è veramente essenziale. Frutta e verdura, presi. Muzarella e bisciamella, trovate. Mancano solo il lievito per la pizza e i datteri per l’iftar.
Due cose così piccole ma indispensabili per preparare la rottura del digiuno al tramonto. Dalla corsia dell’igiene per la casa, dove lascio un signore indeciso sul colore dei sacchetti per l’umido, torno al reparto alimentari e cerco gli ultimi due ingredienti. “Se anche tu stai cercando il lievito, lo abbiamo esaurito..ma torna domani!” mi dice la commessa. La ringrazio e le chiedo dove sono i datteri. Non se lo ricorda e si rivolge al collega. “Guarda all’ingresso, vicino all’altra frutta secca!” risponde il ragazzo. Ringrazio ancora e mi reco nuovamente all’entrata mentre mi dimeno con il carrello giocando agli autoscontri con gli altri clienti. Ho gli occhiali appannati, ho caldo, sete e mi pento di non aver mandato qualcun altro al mio posto. Ma poi ripenso a chi lavora tutto il giorno con la mascherina e soprattutto, a chi lavora e digiuna. Mi rassereno e torno alla mia caccia. Cerco i datteri, sono in basso, mi piego per prendere una confezione…e cavolo! Sono finiti anche quelli. Chiedo ad un’altra commessa quando si riforniranno ma non me lo sa dire. Aggiunge poi “Guarda, di solito non mancano mai, però in queste ultime settimane ne stiamo vendendo di più, sarà per il RamadaM!”.