Lezioni a distanza? “Un’occasione per riflettere sul ruolo educativo e sociale della scuola”

Le lezioni a distanza? Offrono molti spunti su cui riflettere, e possono rappresentare, come spiega don Luciano Manenti, rettore del collegio vescovile Sant’Alessandro di Bergamo, “un’occasione preziosa per riflettere sul ruolo educativo e sociale della scuola”.

Al liceo del Sant’Alessandro il passaggio alla scuola a distanza, attraverso strumenti digitali, non è stato troppo traumatico dal punto di vista tecnico e organizzativo: “Esistevano già gruppi e classi che usavano G-Suite. Nelle sezioni del liceo internazionale, per esempio, erano già diventate uno strumento per continuare a lavorare a casa, con un uso del tempo “remoto”, fuori della classe come tempo scolastico. Alcuni docenti, per esempio, anticipavano già di venerdì alcuni materiali e argomenti che intendevano trattare la settimana successiva oppure mandavano video di introduzione e approfondimento. Era un modo per creare relazioni che i tempi rapidi delle lezioni a scuola normalmente non consentono: Gli studenti avevano per esempio la possibilità di porre domande e inviare riflessioni personali. Potevano anche condividere materiali extra con la classe”.

Passare dalla didattica “normale” a quella svolta completamente “a distanza” ha comportato comunque un ulteriore lavoro di elaborazione: “Abbiamo formato un gruppo ristretto di insegnanti con competenze sia dal punto di vista tecnico sia didattico, fra quelli che avevano già vissuto questa esperienza. Questo gruppo si è occupato di formare gli altri e così in tempi abbastanza brevi siamo riusciti a partire a pieno regime”

La scuola non è fatta solo di tecniche e di mezzi, nella didattica c’è molto di più: “Le condizioni e gli strumenti –  devono essere di volta in volta adattate alla situazione e alle esigenze degli studenti. Questa emergenza può aiutarci anche a capire meglio che cosa possono offrirci questi metodi digitali, quali sono i loro limiti, e quali sono invece le lacune dei metodi tradizionali “in presenza” e gli aspetti che possiamo potenziare”.

Il lockdown ci ha mostrato fragilità e punti di forza nel nostro approccio alla realtà, che è molto complessa: “Noi adulti pensavamo di conoscere bene le dinamiche e le relazioni, che online diventano ancora più stratificate, non sempre facili da gestire. Ci siamo invece resi conto che non era così. I ragazzi – parliamo di adolescenti – conoscono bene tutte le angolazioni, e si trovano a proprio agio nel mondo digitale”. Sanno mettere in atto maschere e difese, all’occorrenza sanno come fuggire. “Ci sono classi più attente, più collaborative, in altre si scatenano reazioni diverse. Questo può essere un segno che dobbiamo potenziare l’attenzione educativa. Quando ci troviamo davanti venti persone bisogna occuparsi anche di loro, dei rapporti e degli equilibri che si creano”.

Quando torneremo a scuola, ci sarà sicuramente una rivoluzione, anche dal punto di vista culturale e sociale: “Non torneremo indietro, alle condizioni precedenti, ci sarà un mondo diverso a cui affacciarsi, non necessariamente migliore, forse più difficile. Ci vorrà equilibrio tra l’esperienza digitale e l’insegnamento tradizionale. Questa è sicuramente una grande occasione per riflettere sul ruolo educativo e sociale della scuola. Gli adulti che incontrano i ragazzi devono poter dare direttive di senso. Non profezie o soluzioni, ma indicazioni per interpretare il senso di queste giornate. Per riuscirci bisogna imparare a mettersi anche nei panni degli altri. Vale ancor di più per noi cristiani, il primo a mettersi nei panni degli altri è stato Cristo”. E’ possibile che questo al termine dell’emergenza, in presenza di difficoltà molto aspre, non emerga spontaneamente: “Quando scopriremo intorno a noi quante fatiche ci sono, potrebbero prevalere gli egoismi, l’istinto di salvare prima di tutto se stessi”. Nella scuola a distanza le forme di accertamento e di verifica delle conoscenze acquisite sono diverse rispetto a quelle svolte di persona: “Bisognerà continuare ad affermare con coraggio il valore dello studio fatto in maniera meticolosa, critica, scientifica. C’è il rischio che venga messa in dubbio l’affidabilità della scienza, perché in questa situazione anche gli esperti hanno dato l’impressione a volte di brancolare nel buio, mentre i ragazzi devono sapere che lo studio può portarli a nuove scoperte e certezze. A patto di partire da buone fonti e di procedere in modo rigoroso”.

Un altro elemento che caratterizza questo periodo è necessità di essere vicini alle molte ferite che i ragazzi manifestano, direttamente o indirettamente: “Si capisce che hanno bisogno di rielaborare ciò che hanno vissuto e questo non si realizza con lezioni simili a incontri di terapia psicologica o di mutuo aiuto ma lasciando che l’attualità entri nei contenuti già disponibili, a partire dagli argomenti studiati nelle diverse materie. Si è reso comunque necessario prendersi cura del dolore di molti”. Si è parlato molto di diverse categorie di lavoratori come degli eroi di questo periodo: “Anche gli insegnanti, però – sottolinea don Luciano – hanno speso molto e hanno garantito un luogo di socialità. La scuola ha riunito intorno a sé studenti e famiglie, a volte in modo armonioso, a volte forse con un pizzico di invadenza”.

Questo periodo ha riportato sotto i riflettori anche l’importanza di temi come l’etica dei linguaggi digitali: “Tutti hanno imparato i principi di base per usare i diversi strumenti. E’ importante anche apprendere l’etica della presenza digitale, a partire dalla puntualità dell’inizio degli incontri, saper distinguere gli ambienti e i momenti (non si può stare a lezione in pigiama, anche se da casa), dedicarsi alle lezioni senza farsi interrompere dai messaggi in arrivo. Questi ambienti e linguaggi diventano risorsa se sono occasione di incontro e di scambio, nulla vieta, per esempio, di informarsi per seguire lezioni all’estero e di cercare comunque di ottenere informazioni in presa diretta”.

C’è stato un taglio netto rispetto al passato: “Abbiamo preso consapevolezza della nostra fragilità -, una consapevolezza fondamentale, che mancava prima e ancora non si esprime compiutamente adesso, ed è il corpo a permettere di manifestarla. La vicinanza e il tempo non saranno più le stesse, per mesi ci sarà comunque una distanza, perché bisognerà indossare la mascherina ed evitare di avvicinarsi troppo. Non si può dire cosa ci manca, perché ci mancherà tutto. Questa condizione generale influenzerà molto anche la nostra capacità di prendere posizione, di fare delle scelte, ci sarà il rischio di mettere gli ultimi ancora più in fondo, perché ognuno sarà concentrato sulla salvezza delle proprie famiglie”. La didattica a distanza in questo contesto può offrire strumenti in più, permettere di rivedere e riascoltare le lezioni, approfondire, capire meglio.

La verità e la missione della scuola non sta nella promozione o nella bocciatura: “L’importante è andare a prendere chi è in difficoltà, avvicinarlo, capire profondamente, perché non ce la fa, trovare strumenti di compensazione, riconoscere dov’è il punto debole del suo percorso. La scuola non può essere tutta sbilanciata sulla performance, sulla competitività. Noi formiamo esseri umani, questa è una grande occasione”.

 

Nella foto: un momento del dibattito in cui il rettore don Luciano Manenti con la preside, Anna Gabbiadini, il procuratore legale, mons. Sergio Bertocchi, gli studenti, i docenti, i genitori e il personale ATA si interrogano su quali siano le risposte migliori per affrontare insieme le questioni – non solo didattiche ma anche educative e psicologiche – poste dall’emergenza coronavirus.