Le messe in streaming. Il virtuale e l’incarnazione

Ci siamo abituati, in questo tempo di pandemia, a seguire le celebrazioni che molte delle nostre parrocchie hanno trasmesso in diretta YouTube, Facebook, Instagram e altre piattaforme informatiche. Non intendo proporre riflessioni sulla bontà o meno di tutto questo: nelle mie parrocchie di Grumello del Monte e Telgate abbiamo fatto questa scelta e io l’ho sostenuta con decisione fin da subito, perché avevo (ed ho) l’impressione che la nostra gente mediante queste trasmissioni riesca a pregare e abbia piacere di sentire la parola di sacerdoti che conosce e ai quali vuole bene.

Certamente, ci sono anche motivi che le sconsigliano, soprattutto a livello teologico: su questo, rimando agli specialisti di Teologia, in particolare di Sacramentaria, che con argomentazioni serie e competenti hanno spiegato perché non fosse una scelta saggia quella di celebrare senza il popolo, proponendo anche modelli interessanti di liturgia domestica per questo tempo particolare.

Finita la pandemia, quelle trasmissioni andrebbero sospese

Da parte mia, vorrei semplicemente porre l’attenzione su una domanda che dovremo porci, al termine dell’emergenza: che fare della trasmissione sui suddetti canali delle celebrazioni? Tenerle o, una volta tornati alle celebrazioni con il popolo, abbandonarle? Potrà sembrare una domanda banale, propria forse di un prete che, in questi giorni, ha parecchio tempo per porsi questioni che in condizioni “normali” non si porrebbe. Eppure io credo che la questione sia seria, serissima: per questo spero che, magari provocati dalle mie semplici considerazioni, studiosi e persone competenti raccolgano la domanda e sviluppino la risposta come merita.

Ora, la mia posizione. Io ritengo che, tornati alla “normalità” (che spero non sia identica alla normalità pre-epidemia: impareremo pur qualcosa, spero!), sarà necessario non trasmettere più le celebrazioni online. Certo, rimarranno le trasmissioni mediante le radio parrocchiali per le persone anziane ed ammalate che non possono uscire per recarsi in Chiesa, ma non di più.

Perché? Perché non mantenere strumenti così comodi? Parlo con parresia, come voglio fare sempre: non temo assolutamente il fatto che il permanere di queste trasmissioni delle liturgie possa condurre la gente a scegliere la comodità del proprio divano e, di conseguenza, ad unire, in modo sconveniente, l’ascolto della celebrazione ad altre attività (rispondere ai messaggi whatsapp in primis). Certamente può succedere, ma non è il problema fondamentale. Men che meno mi preoccupa il fatto che, potendo scegliere, una persona a cui non piacciono i suoi preti possa scegliere di seguire la Messa di un paese molto distante dove c’è un prete di cui apprezza le omelie, o le celebrazioni del papa in Vaticano. Nessun problema, anche su questo: già prima dell’epidemia c’era chi, per diversi motivi, si recava a Messa in altre parrocchie.

Il Verbo si fa carne. Una trasmissione via internet scarnifica

Il vero problema, dal mio punto di vista, risiede nel fatto che il virtuale ha seri problemi nel rapporto con l’Incarnazione. Mi spiego meglio. La fede cristiana crede in un Dio che si fa uomo, che pone la sua dimora in mezzo agli uomini, che si fa carne. Noi crediamo nel Verbo di Dio che, facendosi uomo, vivendo tra gli uomini, condividendone la vita, i momenti di gioia e di dolore come la malattia e la morte, porta al mondo la Parola di Dio, quel Vangelo che è la lieta notizia dell’amore del Padre. Il Vangelo, la buona notizia è tale perché si fa carne, perché si fa storia.

C’è una dimensione fatta di carne, di concretezza, di vita insieme, di comunità che è necessaria alla fede e che costituisce l’unico antidoto alla tendenza, tipica della nostra società, alla privatizzazione della fede religiosa. Il pericolo che io intravedo è quello di un venir meno del radicamento nel tessuto del territorio da parte della Chiesa. Una Chiesa virtuale, pur celebrando bene e con cura, mancherebbe di quella vicinanza alla vita concreta degli uomini senza la quale l’annuncio del Vangelo e il suo concretizzarsi nella carità sarebbe impossibile.

Non si tratta quindi, togliendo a fine epidemia le trasmissioni in streaming delle celebrazioni, di fare un atto di scortesia verso la nostra gente. Questi strumenti resteranno utili, anche per la Chiesa, in altri ambiti, soprattutto formativi, grazie alla possibilità che offrono di registrare incontri che ciascuno può visualizzare e seguire quando preferisce. Per la liturgia e la vita della comunità, però, noi cristiani dovremo tornare a incontrarci, anche a scontrarci quando necessario, purchè si cammini insieme, dentro la vita concreta, condividendo la bellezza, anche se faticosa, dell’essere uomini e donne che provano a vivere il Vangelo, che deve diventare carne, storia, per dire agli uomini che quando due o tre si riuniscono nel nome del Signore, Lui è in mezzo a loro.