La fretta di ripartire e una vecchia, disattesa virtù: la pazienza

Mi sembra che ci sia in giro una certa frenesia di tornare alla normalità con questo maledetto coronavirus. Sono un vecchio brontolone. Ma ho la sensazione che non esista più la vecchia e preziosa virtù della pazienza. Tu cosa ne pensi? Guido

Caro Guido, siamo entrati in una nuova fase che vuole essere un timido inizio di ripresa dopo il silenzio e il fermo generale che ha paralizzato il nostro paese, e in particolare la nostra terra bergamasca.

Quanto abbiamo vissuto ha segnato profondamente le nostre esistenze e continua a farlo perché il “fantasma” coronavirus è ancora in agguato. Come ben sai, ci ha colpito un “nemico” imprevedibile e sconosciuto la cui presenza è devastante: questa ripresa allora deve essere all’insegna della prudenza e della responsabilità personale nell’adottare le misure prescritte, al fine di arginare l’epidemia.

Il comprensibile desiderio di riprendere

Dopo due mesi di “clausura” forzata è comprensibile e legittimo il desiderio di un ritorno alla “normalità”, di riprendere la vita quotidiana segnata comunque da tanta incertezza e criticità lavorativa, sociale e culturale: per molti questa fase comporta la sofferenza per l’instabilità o la perdita del lavoro. Abitare rinchiusi negli spazi familiari, non è stato certamente facile e, se da un lato questa è stata un’opportunità per rinsaldare o approfondire le relazioni familiari, dall’altro la stretta convivenza ha inasprito problematicità o conflitti latenti.

Anche la frenesia è comprensibile, ma deve essere contenuta e posta sotto una discreta e paziente vigilanza. Dovremo attendere qualche settimana per verificare gli esiti positivi dei nostri prudenti comportamenti sociali.

Il rischio di voler dimenticare a tutti i costi

Un altro rischio che potrebbe manifestare è il desiderio di confinare nel passato il dramma vissuto nel tentativo di rimuoverlo dalla memoria: sarebbe un operazione assai nefasta. Dobbiamo fare i conti con questa esperienza e non relegarla nel cassetto come qualcosa da dimenticare, nella pazienza di rielaborare quanto ci ha colpito, fatto soffrire, aperto domande inquietanti sulla vita e sulla morte, perché tutto non sia stato vano.

Le immagini di tanti fratelli morti, della dedizione di medici, infermieri e volontari sono rimaste impresse in maniera indelebile nei nostri occhi e nei nostri cuori. Il bene donato deve rimanere e continuare a essere fecondo nella nostra terra, divenire stile di vita sociale. Siamo chiamati a rivisitare con pazienza, senza fretta e senza cercare colpe o colpevoli, i sentimenti, le emozioni, le paure che ci hanno toccato e hanno attraversato la vita, le nostre relazioni familiari e quelle all’interno dei nostri paesi.

Tutto quello che abbiamo vissuto ci sta cambiando e in quali aspetti, o è qualcosa che non ci riguarda? Quali domande sui nostri stili di vita, sul nostro rapporto con gli altri, la comunità?

Imparare dalla vita

Qual è il volto di Dio che ho incontrato? La frenesia di cui parli non ci distolga dall’arte di imparare dalla vita, soprattutto quando è molto esigente o addirittura drammatica; ci dia il coraggio di guardare alle ferite, ai lutti e al dolore che il coronavirus ha provocato lasciandoci convertire, vincendo le nostre paure, per divenire più umili e umani. Non ci chiuda in isolamenti difensivi, in chiusure sterili e conservative, ma apra a passaggi di vita. Allora tutto questo non sarà stato invano, perché l’esperienza vissuta pur nella sua valenza di sofferenza, diventerà sapienza di vita per tutti.

Caro Guido non perdere l’appuntamento con la storia, questa storia; non rimanere alla finestra magari brontolando per quello che non va, ma quanto credi di aver imparato, diventi, accanto alle misure preventive da rispettare, il dono che tu fai a quanti vivono con te, nella tua famiglia e nella tua comunità, nella paziente ricostruzione della vita portando il peso della sofferenza di tanti fratelli.

L’epidemia di coronavirus potrà essere sorgiva di una nuova solidarietà, di un nuovo umanesimo, di una nuova rinascita delle nostre comunità. A noi accogliere la sfida.