“Stimato e caro dottore”. L’arcivescovo di Milano scrive ai medici

11 marzo: mons. Delpini prega la Madonnina del Duomo di Milano

Il 18 Ottobre 2019, festa di San Luca, patrono dei medici, quando ancora l’epidemia da COVID-19 non era conosciuta, quantomeno in Italia, l’Arcivescovo di Milano Mons. Mario Delpini ha rivolto ai medici, cristiani e non, una lettera. Questo testo, nella sua semplicità, è ricco di riflessioni profonde, soprattutto alla luce di questi ultimi tempi, che per causa di forza maggiore hanno acceso le luci della ribalta sulla professione medica. Questo libretto può davvero essere riscoperto, in questi giorni, come una grazia, dono del cuore grande di un pastore che ama la sua Chiesa e la sua gente. Qui io vorrei, semplicemente, ripercorrerne i tratti fondamentali, mentre ricordo nella preghiera tutti i medici e gli operatori sanitari che, senza risparmiarsi, si stanno prendendo cura dei tanti ammalati delle nostre comunità in questo tempo faticoso. Insieme a loro, ringrazio di cuore il Vescovo Mario per le sue parole, che hanno dato molto anche a me, che accosto i malati da prete, cercando di accogliere le diverse situazioni così come si presentano e di regalare un po’ di conforto.

La professione medica come vocazione

La Chiesa, sottolinea fin dalle prime righe Mons. Delpini, è sempre stata alleata con gli uomini di scienza, nel comune impegno della cura della persona, che è corpo e spirito.

La professione medica assume i tratti di una vera e propria vocazione, un appello alla cura dell’altro  che si percepisce nel cuore fin da giovani. Quando un giovane riconosce come possibilità buona per la realizzazione di sé l’esercizio della professione medica, è animato dal desiderio di una “solidarietà con chi soffre che non è solo prossimità ma competenza che cura e guarisce, scienza che offre speranza”.

Concordo pienamente con questo rilievo dell’Arcivescovo: nella mia piccola esperienza, ho sempre sentito affermare ai miei genitori, medici di base, che chi dovesse scegliere di diventare medico per soldi, è bene cerchi una professione che gli permette di guadagnarne anche di più, ma che non faccia il medico. La professione medica richiede una dedizione all’altro che è una vera e propria missione, uno stile di vita, un motivo di esistenza e richiede una coscienza morale ben formata e libera da finalità altre rispetto alla cura dell’altro. Questa si esprime, come rileva il Vescovo, nella “ammirevole testimonianza di dedizione di molti medici, di qualsiasi credo, che si rendono disponibili anche oltre gli orari definiti per le emergenze, per i più poveri, perché non manchi una prossimità sollecita ai loro pazienti”.

Le fatiche di chi lavora nella sanità

È certamente vero, come si trova ben descritto nella lettera, che oggi si incontrano con frequenza medici affaticati. Questo è dovuto in gran parte all’organizzazione del servizio sanitario, sempre più caratterizzato da procedure esasperate e da una crescente burocrazia, che tolgono molto tempo alla cura delle persone ammalate. A questo si aggiunge, in diversi casi, anche il ritmo di lavoro, che per medici, infermieri e operatori sanitari è spesso troppo logorante.

Tuttavia, c’è un altro elemento che spesso pesa sui medici, questa volta non tecnico-organizzativo, ma legato alla sfera dei pazienti: l’eccesso di pretese dei pazienti stessi e dei famigliari, spesso irrealistiche, che si tramutano in atteggiamenti aggressivi e ostili verso gli uomini e le donne impegnate nella cura, giungendo, sempre più frequentemente, a minacce di querele e ad atti diffamatori anche gravi. Questo pesa, posso affermarlo per conoscenza diretta, su chi, con impegno e competenza, opera tutto quanto è nelle sue possibilità per il miglioramento delle condizioni di salute dei pazienti, quando non sia possibile raggiungere la completa guarigione.

Il medico “si prende cura” di sé

Monsignor Delpini incrocia poi un altro aspetto decisivo: la cura di sé che deve caratterizzare la vita del medico. Questa cura non consiste soltanto nella necessaria attività di aggiornamento e formazione, ma nella cura che il medico deve avere della sua vita, di quella della sua famiglia, della sua vita spirituale e delle sue prospettive etiche. Talvolta, infatti, la difficoltà nelle scelte da compiere non è legata alle procedure di intervento da un punto di vista tecnico, ma alle importanti questioni etiche che questo solleva e che non possono lasciare indifferente il medico impegnato nella cura (si pensi, a tal proposito, a tutto ciò che concerne l’accanimento terapeutico e le “questioni sul fine vita”).

Unitamente a questo, il medico è costantemente chiamato a monitorare le sue capacità e competenze relazionali, decisive per il suo lavoro, perché quella con il paziente è in primis una relazione personale. Per questo, rileva opportunamente Mons. Delpini, sarebbe utile che nella formazione propria dei medici venissero inserite proposte che arricchiscano le competenze psicologiche e in generale legate alle scienze umane, necessarie nelle relazioni di cura e di aiuto. Insieme a questo, l’Arcivescovo propone la formazione spirituale, che permette di affrontare insieme al malato le questioni fondamentali della vita, in primis quella, decisiva, su ciò che si può sperare.

Ci auguriamo che questo tempo faticoso, ma non privo di possibilità di crescita per l’umanità, possa trarre da queste note dell’Arcivescovo di Milano degli spunti buoni per attivare percorsi che favoriscano la maturazione umana di tutti.