Don Fausto Resmini, testimone di carità come il beato Palazzolo

In questi giorni mi è capitato ripensare frequentemente ai volti dei molti sacerdoti diocesani, credo 25 o 26, che sono morti nel tempo più oscuro e virulento del Coronavirus, tra la fine di febbraio e i primi giorni di aprile.

Ciascuno di loro ha una storia, una personalità, delle qualità particolari, dei limiti che traspaiono nei numerosi racconti della loro dedizione generosa al ministero sacerdotale.

Tra questi spicca il ricordo di don Fausto Resmini, sacerdote del Patronato e molto conosciuto per diverse attività da lui promosse in campo caritativo ed educativo, con particolare attenzione alle nuove povertà. Provo ad elencare le principali: il servizio di distribuzione dei pasti alla stazione di Bergamo, l’accoglienza dei minori in particolari situazione di fragilità e vulnerabilità, la comunità educativa di recupero e reinserimento “don Lorenzo Milani” di Sorisole, la presenza come cappellano al carcere di via Gleno, la direzione della casa del Giovane di Bergamo.

Chi guarda stupito a questo elenco di attività è facile che si domandi: ma don Fausto come faceva a “tenere insieme” tutti questi impegni? Anche se ha avuto dei validi collaboratori che ora continuano questa benemerita opera, da dove nasceva tutta la sua passione e dedizione?

Certamente dai molti doni che aveva ricevuto dal Signore e trasmessi dalla sua famiglia, dalla sua biografia personale che aveva incrociato sin da ragazzo la storia del Patronato, dal fascino singolare esercitato dalla personalità di don Bepo Vavassori, dall’invincibile passione che gli faceva credere che un uomo valesse molto di più della sua condizione sociale o dei suoi sbagli, dalla sua fede semplice nutrita da un’autentica preghiera ancorata alla devozione dell’Eucaristia, alla fiducia nella Provvidenza e in Maria, madre della Chiesa e aiuto dei cristiani.

Forse anche lui, nel profondo del cuore, condivideva quanto il beato Luigi Palazzolo annotava nei suoi scritti riguardo lo scopo della sua vita:

“Servire a Dio in tutta la vita, patire per lui, lavorare per lui, salvare le anime a lui, e poi morire, anche in una stalla ignorati dal mondo, e sotterrati nel cimitero senza alcuna pompa, da poveri.”

Il beato, fondatore delle suore delle Poverelle, è stato fedele fino in fondo a quanto aveva scritto e la sua vita è diventato un insegnamento che continua ancora oggi. Anche la Chiesa ufficiale lo ha riconosciuto assegnandoli il titolo di beato e presto papa Francesco lo proclamerà santo.

Ma credo che questa frase l’ha resa autentica anche don Fausto nelle varie fasi della sua vita: dagli inizi, nel suo consolidarsi fino, recentemente, ai giorni della sua sofferenza e della morte.

Ci ha pensato la pandemia a renderlo coerente infatti nell’ultimo mese di vita si è spento lentamente, nel nascondimento, dimostrandosi solidale con i poveri che aveva assistito tanto da venir sotterrato nel cimitero senza alcuna pompa, da povero.

Il suo ricordo non susciti in noi solo sincera ammirazione e stima ma ci illumini, in modalità diverse, perché anche noi percorriamo la via della carità. Grazie beato Palazzolo, grazie don Fausto!