C’era una volta la città deserta. Il cigno Gaetano trova un amico

La quarantena è finita, ma cosa ci è rimasto di questo periodo di emergenza e di “reclusione” per il coronavirus? Tanti ricordi: alcuni tristi, altri felici. La fiaba di oggi ripercorre quel periodo attraverso gli occhi di un cigno un po’ indisponente, Gaetano, per parlare del potere della gentilezza. Foto di © Giovanni Diffidenti

Non c’era nessuno intorno al laghetto. Ai tempi della città deserta, le strade erano molto silenziose. Non c’erano le mamme che portavano a spasso i bambini spingendoli nel passeggino. Non c’erano le nonne con i loro cartocci di briciole per gli uccellini.

Il sole splendeva, il cielo era azzurro, gli alberi erano coperti di fiori, l’aria era tiepida. Era una bellissima giornata. Eppure qualcosa non andava. Se n’era accorto perfino il cigno Gaetano, che di solito si preoccupava solo delle sue piume.

Passavano pochissime persone, camminavano veloci, portando le borse della spesa. Non si fermavano mai, non lanciavano nemmeno uno sguardo distratto alle ninfee del laghetto, non si sedevano sulle panchine.

Ci sono tanti tipi di solitudine. C’è quella che scegliamo, quando abbiamo voglia di stare un po’ tranquilli, per conto nostro, senza che nessuno ci disturbi. Poi c’è quella che ci viene imposta per punirci – quando combiniamo qualche guaio o prendiamo un brutto voto – e quella un po’ dolorosa che dobbiamo subire quando litighiamo con qualcuno che poi non vuole più parlare con noi. Il cigno Gaetano le aveva sperimentate tutte e tre.

Quella della città deserta, però, era una solitudine di tipo diverso. Come se fossero improvvisamente tutti in punizione, come se per le strade ci fosse una strana guerra invisibile, di cui nessuno sapeva nulla.

Quando vogliamo disegnare un cigno la matita corre sul foglio tracciando linee curve e armoniose. C’è un solo spigolo, il becco. Nel caso di Gaetano, però, sarebbe stato meglio disegnare tanti spigoli, a zig-zag: non era facile essere suoi amici.
Aveva un carattere aspro e scontroso anche se, dall’aspetto, nessuno l’avrebbe mai potuto immaginare. Molti restavano incantati dalla sua bellezza: aveva le piume bianche e lucide, il suo lungo collo aveva una linea elegante, scivolava sull’acqua con mosse leggere e aggraziate. Il suo regno era un laghetto nel centro della città, nuotava intorno a una fontana monumentale dedicata al grande musicista Donizetti da cui aveva preso il nome, come il che sorgeva lì accanto.
I turisti si fermavano per ammirarlo e scattargli fotografie, e il cigno si mostrava volentieri, con un pizzico di civetteria. Ai tempi della città deserta, però, la vita era dura anche per lui.

Se un passerotto si avvicinava per chiedergli come stava, lui tentava di beccarlo.

Quando il custode del parco gli portava il cibo, lo rincorreva in modo aggressivo per tenerlo lontano dal suo nido.

Se qualche uccellino affamato cercava di attingere alle sue abbondanti porzioni di cibo, lui lo scacciava con alte grida.

Un giorno però si trovò più solo del solito. La città era così deserta, così silenziosa e vuota che per la prima volta ebbe paura. Non sentiva nulla, neppure il rumore di un passo, neppure il canto di un uccellino. Neppure il fruscio del vento. Era come essere chiusi in una bolla di sapone che non scoppiava mai.

Il guardiano del parco quella mattina non era arrivato come al solito, non gli aveva portato il cibo.

Il cigno ne aveva tenuto un po’ dal giorno prima, come faceva sempre, e per un po’ non se n’era accorto. Poi però – a metà giornata – aveva scoperto all’improvviso di avere una gran fame. Aveva incominciato a camminare avanti e indietro guardandosi nervosamente intorno. Era il principe del parco, non era abituato a restare senza cibo. Quando scese la sera era così affamato che avrebbe mangiato qualsiasi cosa. Incominciò a guardarsi intorno, cercando qualcosa di commestibile. Decise di uscire dal laghetto, di avventurarsi per le strade. Sperava che qualcuno portando la spesa avesse perso qualche foglia d’insalata, ma non c’era proprio nulla.

Arrivò fino alla vetrina di un negozio: fuori c’erano esposte tante cassette piene di verdure. La porta era aperta, ma il proprietario stava mettendo via la merce che non aveva venduto. Il cigno si fermò, esitando. Non era abituato a chiedere.

Il passerotto lo osservava dal ramo di un albero

“Cigno, se vuoi del cibo devi attirare l’attenzione dell’umano”

Il cigno si voltò a guardarlo: “Come devo fare?”

“Di’ qualcosa”

Il cigno lanciò un verso acuto. Il negoziante si girò di scatto, spaventato. Il grido del cigno gli era sembrato forte come una sirena in mezzo a tutto quel silenzio.

Era un po’ perplesso. Come mai il cigno era arrivato fin lì? Il suo negozio non era così vicino al laghetto. Si guardò intorno: non c’era nessuno. Forse non aveva mai sentito in quel luogo un silenzio così profondo. Guardò le sue cassette di insalata: “Ma certo, il povero cigno ha fame” pensò. Gli diede qualche foglia d’insalata.

Il cigno accettò, grato, e le mangiò sul posto, finché non si sentì sazio. Per una volta provò a usare il becco per fare una carezza di gratitudine a quel fruttivendolo.

Si accorse che quel gesto lo rendeva felice, gli faceva sentire il cuore più leggero.

Tornò indietro verso il laghetto a passi leggeri, e per la prima volta si guardò intorno: la città gli sembrava più bella, e dietro le finestre vide tanti umani, piccoli e grandi, che lo osservavano. Così le strade deserte incominciarono a fargli meno paura.

Da quel giorno il fruttivendolo incominciò a passare tutti i giorni dal laghetto per controllare se il cigno aveva abbastanza cibo, e gli lasciava un po’ di insalata. Il cigno si avvicinava con prudenza e  si lasciava accarezzare. Gli altri animali lo guardavano stupiti: Gaetano non cacciava più via tutti a colpi di becco. Aveva trovato un amico pronto ad aiutarlo quando era in difficoltà. Questo gesto gentile si era posato sul suo cuore come un seme fatto di luce.

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© Foto Giovanni Diffidenti