La preghiera come “consolazione”

Preghiera

La preghiera ci ha consolato durante la segregazione del coronavirus. Ma pregare per consolarsi non è un “uso improprio”? Giovanni 

Durante la segregazione del coronavirus non abbiamo pregato per consolarci, caro Giovanni, ma per trovare in Dio la nostra consolazione. In questo sta la differenza! La fonte della consolazione, infatti, non sta in noi, ma nel Signore. 

Gli eventi dolorosi che abbiamo vissuto nei mesi scorsi ci hanno destabilizzato, facendoci soffrire molto, tanto che il conforto vicendevole e fraterno, pur necessario e importante, non é bastato a rincuorarci! Abbiamo avuto bisogno di un “di più!”. Il “di più” della preghiera, nella quale incontrare il Signore, sentirlo al nostro fianco come alleato, gustare la sua tenerezza e la sua compassione che ha asciugato le nostre lacrime e ha aperto alla speranza. Il nostro grido ha oltrepassato le nubi del cielo ed è giunto al cuore del Padre, che ci ha ascoltato venendoci incontro con la sua premura e la sua comprensione. 

Anche attraverso la liturgia eucaristica del tempo pasquale, il Signore ha rassicurato i nostri cuori:

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv.14,1) ci ha detto nel Vangelo di venerdì 8 maggio.

Papa Francesco, commentando tale passo evangelico, ha spiegato il senso della consolazione di Dio: 

«Il Signore consola i suoi discepoli e qui vediamo come è il modo di consolare di Gesù. Anche noi abbiamo dei modi di consolare – continua il papa– dai più autentici, dai più vicini ai più formali, come quei telegrammi di condoglianze: ‘Profondamente addolorato per …’ . Non consola nessuno, è una finta, è la consolazione di formalità. Ma come consola, il Signore? Questo è importante saperlo, perché anche noi, quando nella nostra vita dovremo passare momenti di tristezza impariamo a percepire qual è la vera consolazione del Signore. E quella di Gesù è sempre una consolazione di vicinanza, di verità e speranza. «In vicinanza, mai distanti», dice papa Francesco ricordando «quella bella parola del Signore: “Ci sono, qui, con voi”. A volte è presente nel silenzio, ma sappiamo che Lui c’ è. Lui c’ è sempre. Quella vicinanza che è lo stile di Dio, anche nell’ Incarnazione, farsi vicino a noi. Il Signore consola in vicinanza. E non usa parole vuote, anzi: preferisce il silenzio. La forza della vicinanza, della presenza. E parla poco. Ma è vicino». 

Tutto il vangelo, in quanto buona notizia, ci conforta! Gesù lenisce il dolore della vedova di Nain; risolleva dalla tristezza Marta e Maria alla morte di Lazzaro; sostiene le donne di Gerusalemme in pianto durante la passione. Consolare, infatti, è proprio di Dio: «Vi sazierete delle sue consolazioni. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» dice il Signore per bocca del profeta Isaia (Is. 66,11.13). E ancora: «Consolate, consolate il mio popolo  – dice il vostro Dio. – Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta» (Is. 40,1-2); anche il libro del profeta Geremia ha un’intera sezione chiamata appunto. “Il Libro della Consolazione”.

Siamo consapevoli che anche verso di noi Dio ha usato tanta misericordia!

L’abbiamo sperimentato in numerose situazioni, attraverso molteplici linguaggi. 

Ringraziamolo per tutto questo e chiediamogli la grazia di divenire a nostra volta balsamo di consolazione per i nostri fratelli che vivono ancora nella prova.

Ma la preghiera, e lo sappiamo tutti molto bene, non sempre conforta e sostiene, a volte essa lascia nella desolazione, nell’aridità, nell’oscurità e nella solitudine; in alcune situazioni l’incontro con il Signore richiede lotta e fortezza d’animo: Dio continua a tacere e a rimanere lontano!

Questi aspetti della preghiera sono difficili da accogliere ed esigenti da vivere, ma sono estremamente necessari per crescere in una fede sempre più adulta. L’esperienza dei santi, in proposito, è significativa ed illuminante: attraverso l’oscurità e il vuoto, Dio li ha purificati e irrobustiti rendendoli, appunto, “giganti nella fede”, capaci, cioè, di diffondere ovunque la sua consolazione e dischiudere il cuore degli afflitti verso un orizzonte di vita.