Anne Lécu racconta in un saggio “Il senso delle lacrime”

La proposta di lettura della Biblioteca diocesana del Seminario Giovanni XXIII riguarda questa settimana “Il senso delle lacrime” (Edizioni San Paolo) di Anne Lécu, religiosa domenicana e medico

Quasi furtive o palesi, represse o straripanti, distese e calme oppure tese e amare, in fiotti o a goccia, le lacrime hanno mille sfaccettature e possono sgorgare da un forte dolore come da una profonda gioia. Ma di quali lacrime stiamo parlando? Che cosa ci rivelano dell’umano? Che cosa si vede attraverso la nebbia delle lacrime che non si possa vedere a ‘occhi asciutti’? Anne Lécu, religiosa domenicana e medico in un carcere francese di massima sicurezza, nel suo ultimo saggio, attingendo alla ricchezza della Bibbia (piena di storie in cui uomini o donne piangono) e della tradizione cristiana, riflette su questa amara secrezione del nostro corpo per sondare l’interiorità umana, mostrando il mutare nel corso dei secoli e nelle diverse culture del significato attribuito alle lacrime (il piangere è debolezza nella cultura greca e antica, il non piangere è segno di progresso nella cultura moderna), il loro abbondare o scarseggiare nella dimensione pubblica di una società, il loro essere confinate o meno negli occhi dei bambini, delle donne, dei deboli e dei sofferenti.

Non un trattato, come afferma l’autrice stessa, ma una sorta di vagabondaggio, che si articola in tre momenti. Nel primo si distingue tra lacrime autentiche e spesso silenziose e lacrime ‘false’, capricciose, teatrali (che proprio nella cultura odierna sgorgano abbondanti in quei ’confessionali’ che sono i reality) e si affronta il caso serio dell’assenza delle lacrime, provocata da una sorta di anestesia (corrispondente all’acedia descritta dai Padri del deserto), da una tristezza bloccata, da una pena congelata, da un cuore indurito che non sa più come riprendere a battere. Nel secondo momento si individuano diversi modi per tentare di capire le lacrime: la spiegazione scientifica (inefficace) delle lacrime nella loro materialità; la loro accoglienza come un dono, che fa breccia aprendo già da sé alla consolazione e al trascendente; il loro valore nel racconto di sé e della propria storia e nell’essere presenti all’altro. Infine nel terzo e ultimo momento si sottolinea la necessità delle lacrime per ricordare la finitudine umana, quello ‘strappo’ che ci costituisce.

Le lacrime possono velare lo sguardo, confonderlo, annebbiarlo; ma, sgorgando da occhi oscurati o spenti, possono anche riaccenderlo: velano la vista per rivelare chi siamo in verità. Sgorgano e fanno dubitare della nitidezza stessa delle cose che si vedono. Infine, possono essere lacrime di gioia. In fondo le lacrime scaturiscono da ciò che trabocca, da ciò che è più grande di noi.

In ultimo Dio asciugherà ogni lacrima dei loro occhi e non ci sarà più la morte né lutto né lamento né affanno perché le cose di prima sono passate (Ap 21,4): tutte le lacrime sgorgate verranno asciugate da Dio e questa tenerissima azione materna segnerà il felice giorno senza tramonto. 

In un’epoca dove almeno per gli uomini piangere è disdicevole l’autrice invita a cercare le proprie lacrime perdute.

Silvia Piazzalunga

Per informazioni: biblioteca@seminario.bg.it