“Ma il CRE e il summerlife e il resto… dobbiamo proprio farli noi?”

Il lockdown ha rilanciato una necessità per le parrocchie: la collaborazione

È una domanda che, tra noi preti, ogni volta che giunge il momento di riavviare la macchina organizzativa, inesorabilmente si presenta.

Alla solita domanda, tante risposte

E le risposte sono molte, di diverse intonazioni. Talvolta opposte. Si va dal “Non sono prete per fare il CRE… se volevo fare l’organizzatore di eventi ludico-ricreativi sceglievo altro nella vita…”, a chi, invece, pare vivere secondo il motto (perdonate l’azzardo profano!) “sine CRE non possumus”, ossia, il CRE si deve fare per forza, come fosse scritto tra i dogmi del Denzinger-Hunermann (è la raccolta dei documenti ufficiali della Chiesa, n.d.r).

Accetto il CRE. A una condizione

Ora, sperando di non peccare di accidia, io, personalmente, mi posiziono così sulla vicenda: vivo il CRE volentieri perché c’è, perché la mia Chiesa me lo consegna come strumento valido della pastorale giovanile per testimoniare la dedizione della comunità cristiana verso bambini e ragazzi delle nostre comunità.

Nel contempo, affermo chiaramente che non mi cospargerei il capo di cenere emettendo forti grida di dolore se non ci fosse. Questo perché, seppur sia l’attività certamente più visibile della pastorale giovanile, non la ritengo quella fondamentale. Anzi, io reputo che l’attività estiva con i ragazzi abbia senso solo se costituisce il culmine di un cammino intessuto durante tutto l’arco dell’anno pastorale, nelle diverse esperienze e attività che lo costituiscono.

Certo, il Centro Estivo è un servizio prezioso che, se vissuto con carità, favorisce la nascita di uno spirito di dedizione all’altro nella gratuità dentro la costruzione di relazioni buone. Questo è importante, sempre: lo sappiamo bene tutti, soprattutto quest’anno. Il lockdown ha messo a dura prova le nostre relazioni personali, tanto che il progetto “Summerlife”, che quest’anno sostituisce il tradizionale CRE, ha tra le sue finalità principali proprio la ripresa della socializzazione tra i ragazzi.

Non è necessario “fare tutto noi”

Peraltro, c’è una questione significativa che non si può fugare: è certamente vero che i CRE potrebbero essere tranquillamente implementati dai comuni o da enti privati (qualche ente privato già fa proposte, che sono belle e di successo!), ma noi, sinceramente parlando, senza CRE, GREST, SUMMERLIFE o similari, cosa faremmo nel tempo estivo? Quale altra proposta, come Chiesa, potremmo pensare per i nostri ragazzi? Ciò detto, io credo potrebbe esserci una buona mediazione tra un “fare tutto noi” sempre più complicato per preti e laici (e nemmeno giusto!) e un ritiro da questo impegno che farebbe venir meno una possibilità significativa di esercizio della dedizione, dell’esserci per l’altro, fondamentale per i ragazzi in età evolutiva e non solo. 

Fare tutto in collaborazione

La via più equilibrata mi sembra essere quella che porta nella direzione della corresponsabilità tra enti e tra persone. Non quindi “o noi o il Comune”, bensì “noi e il Comune”, insieme anche ad altri enti che vogliano partecipare. Si tratterebbe pertanto di una co-costruzione dell’esperienza e una condivisione di risorse umane, ambienti, risorse economiche,  che gioverebbe a tutti.

Ad esempio, in riferimento a noi sacerdoti, un investimento buono sul terzo settore, con conseguente valorizzazione delle figure educative professionali legate alle cooperative del territorio, permetterebbe al prete di essere sgravato da una quantità di riunioni organizzative spesso poco conciliabili con i tanti impegni che caratterizzano il ministero. Nello stesso tempo potremmo finalmente pensare all’omelia del matrimonio, al colloquio con il genitore che ha bisogno, a un paio d’ore di lettura o di preghiera, senza rimandare tutto alla conclusione della giornata di attività, momento al quale si giunge, solitamente, in stato apparentemente comatoso e con sintomi da ubriachezza pur avendo bevuto solo acqua.

Insomma… se imparassimo a lavorare insieme, tutti ne trarremmo beneficio, in primis la comunità, che diverrebbe finalmente tale, non solo a parole. Che facciamo? Proviamo?