CRE, SUMMERLIFE, l’estate dei ragazzi. E a proposito di carità

Che cosa deve fare la Chiesa? Sì, deve fare anche il CRE

C’è una “vexata quaestio” che divide i modi di vedere di sacerdoti e laici impegnati nelle nostre comunità cristiane, circa le attività estive che oratori e parrocchie propongono a bambini e adolescenti.

Una questione essenziale che non si può più rimandare

È una questione essenziale, perché la risposta che diamo ad essa configura il concetto di pastorale giovanile della nostra Chiesa. Personalmente, credo che la riflessione, a livello diocesano, fatta di confronti seri e dibattiti tra sacerdoti, non sia più rimandabile. Provo a ricostruirla per sommi capi.

Ogni anno, nelle nostre comunità, a partire già dai primi mesi dell’anno, iniziamo la preparazione del Centro Ricreativo Estivo per bambini e ragazzi, scegliendo i coordinatori, chiamando a raccolta i volontari, aprendo innanzitutto le iscrizioni degli adolescenti che avranno il ruolo importante di animatori.

Sono passaggi delicati, questi. La scelta dei coordinatori già può decretare il successo dell’attività, perché se si creerà un gruppetto di giovani affiatato ed appassionato, si porranno ottime basi per la costruzione di un’esperienza positiva.

Certo, col passare degli anni, l’operazione è più difficile: i giovani disponibili a coordinare e assumersi responsabilità diminuiscono, per motivi di esami universitari, Erasmus, lavoro o, semplicemente, perchè non interessati alla proposta. Lo stesso dicasi per i volontari, sia dei laboratori che delle attività di cucina, pulizia ecc.: il rinnovamento pare essere utopico e ogni anno si devono incrociare le dita nella speranza che nessuno ritiri la sua disponibilità.

Da qui la domanda chiave: ne vale la pena?

Qualche sacerdote e qualche collaboratore parrocchiale risponde così: “No, non ne vale la pena. È ridicolo mettere in un’esperienza di venti giorni tanto lavoro, impegno, fatica, risorse, come non se ne mettono nemmeno per la catechesi, nella quale annunciamo Gesù Cristo. Lo facciano i Comuni. Non spetta alla Chiesa questa attività che, alla fine, è solo assistenzialismo e a noi, come Chiesa, non porta nulla, perché esperienze come queste con la carità non hanno nulla a che fare! Venissero almeno in Chiesa poi i ragazzi e le loro famiglie… Invece, di anno in anno sempre più fatica, sempre più pretese da parte delle famiglie… e poi a noi cosa resta? Dedichiamoci al nostro specifico! Queste attività ormai sono da lasciare”.

Ciò che la Chiesa deve fare

Da parte mia, reputo alcuni punti di questo ragionamento interessanti e non privi di qualche tratto di verità. È vero, la fatica è tanta. Penso a quest’anno in particolare: l’organizzazione di Summerlife, con tutte le normative anti COVID che cambiavano continuamente, mille attenzioni da avere, è stato impegnativo.

La mole di lavoro, concentrata in pochi giorni, è stata enorme

ho visto i miei coordinatori saltare la cena, arrivando in Oratorio alle 17 e uscendone alle 23, praticamente senza mai fermarsi. Ma lo hanno fatto e lo hanno fatto volentieri. Anch’io, tra riunioni con i Comuni delle mie comunità, riunioni tra noi coordinatori e tutte le burocrazie, legate alla tanta modulistica, ho fatto fatica, soprattutto nel periodo in cui 6/7 ore al giorno erano già dedicate agli esami online delle mie cinque terze medie. Chi me lo ha, ce lo ha fatto fare? Non era l’anno buono per dire “Basta, se i Comuni non organizzano nulla, non proponiamo nulla nemmeno noi!”?. No, assolutamente no.

Anche il CRE è carità

Perché? Ecco, qui io mi distanzio, come alcuni confratelli, da chi dice che queste attività non sono carità. Sono carità evangelica, eccome! La cura per le generazioni che crescono, l’aiuto alle famiglie, in nome del Vangelo, è carità allo stato puro. Per me sono insostenibili le prospettive secondo le quali non c’è Vangelo nei CRE perché c’è al massimo una preghiera di pochi minuti:

quando l’altro diventa il centro della mia dedizione, in nome di quel Gesù la cui benedizione invoco nella breve preghiera, io sto dando carne al Vangelo, come quando prego.

E sulla questione che tanto, poi, bambini e ragazzi non vengono in Chiesa, perché “il Vangelo non passa da queste esperienze”… beh, lo dico “apertis verbis”: quanti ragazzi partecipano alla Messa dopo aver ascoltato ore e ore delle nostre catechesi settimanali? Da cristiano, mi dico che noi crediamo in un Dio che si è fatto carne, la cui Parola abita in mezzo a noi. Accanto all’annuncio, nella liturgia e nella catechesi, della buona notizia dell’amore di Dio, occorre quella carità che traduca nell’ordinarietà della vita la fede che celebriamo. Le esperienza estive permettono questo.

Troveremo qualcosa di meglio in sostituzione ad esse? Ben venga! Tuttavia, al momento,

mi sembra che l’unica alternativa che si propone a queste attività sia il nulla.

Quindi, direi che la strada migliore è quella di continuare il nostro impegno nella ricerca della massima condivisione possibile con le istituzioni civili e le associazioni del territorio, affinchè si giunga un giorno all’offerta di una proposta unitaria che veda la comunità intera riunita nella cura verso i più piccoli e i giovani.

Così non sarà più “tutto sulle nostre spalle”, ma esperienza condivisa di dedizione autentica. Se questo non è Vangelo, che cos’è?