L’isolamento rende fragili. Filippo Tantillo: “La pandemia ha fatto emergere la forza delle comunità locali”

La forza di un territorio sta nella condivisione dei servizi e delle responsabilità: dall'infermiere al geologo di quartiere

L’infermiere di comunità, una “sentinella” che tenga sott’occhio la situazione dei nuclei familiari ma anche il “geologo condotto” che faccia attenzione alla tenuta delle strade e alla sicurezza dei territori. Anche queste figure “di quartiere” possono contribuire a costruire una nuova idea di vita “comunitaria”, che punta sui legami e sulla condivisione delle responsabilità più che sulla separazione dei compiti così come la immagina Filippo Tantillo, ricercatore territorialista.

Il suo saggio sulla “comunità” fa parte del “Manifesto per riabitare l’Italia” a cura di Domenico Cersosimo e Carmine Donzelli (Donzelli 2020, pp. XVI 256, 19,00 euro, con cinque commenti di Tomaso Montanari, Gabriele Pasqui, Rocco Sciarrone, Nadia Urbinati, Gianfranco Viesti). Questo testo tratteggia attraverso gli sguardi di diversi esperti una nuova immagine aggregata dell’intero Paese, in grado di raccontarne contraddizioni e squilibri, ma anche punti di forza e potenzialità, assumendo come obiettivo la piena coesione tra le diverse aree, presentando le tante sfaccettature dell’Italia. Non si tratta di contrapporre le une alle altre. Si tratta di ricomprenderle tutte e dunque il migliore equilibrio possibile tra le persone, le risorse e i territori.

Il testo contiene 28 parole-chiave, che costituiscono un patrimonio di idee e, al tempo stesso, un vocabolario di riferimento per costruire una nuova rappresentazione del Paese. Filippo Tantillo, ricercatore territorialista, esperto di politiche del lavoro e dello sviluppo, che lavora da più di quindici anni con Istituti di ricerca oltre a Università italiane ed europee alla messa a punto di nuovi strumenti di ascolto del territorio e dei fenomeni sociali, da noi intervistato, nel saggio prende in esame la parola “comunità”, che assume una valenza particolare nel momento storico eccezionale che stiamo attraversando. 

Dottor Tantillo, ci parla del Suo lavoro di costruzione di comunità nelle aree interne?

«È venuta una domanda di edificare spazi materiali o immateriali che fossero la casa di una nuova comunità in formazione. Un luogo fisico, dove continuare a vivere e a lavorare anche se le vecchie comunità sono in via di esaurimento per questioni anagrafiche, anche se ancora abitate da meno persone. Soluzioni convenienti, interessanti, praticabili anche al di fuori dell’emergenza, che permettono di mantenere il contatto tra i cittadini, aspetto tra i più importanti nella costruzione di comunità. Queste nuove esperienze sono sparse in maniera diversa in tutta Italia. Il nostro Paese ha una caratteristica specifica, quella di essere un Paese molto differenziato al suo interno, molto più degli altri paesi europei. Per questo le soluzioni sono diverse e vengono adottate in maniera diversa. L’Italia è un Paese molto “rugoso”, pieno di valli, climi, dialetti molto diversi, che convivono a pochi chilometri di distanza, cosa che non è nei Paesi europei, più organizzati in maniera societaria. Più società e meno comunità». 

Più servizi comuni, più possibilità di aiuto reciproco pensando, per esempio, anche ad anziani autonomi, che così possono prolungare la propria indipendenza beneficiando di un aiuto oppure famiglie con bimbi piccoli? 

«Queste comunità si strutturano intorno a nuovi servizi collettivi o mutualistici per cui nuovamente si riscopre l’importanza per esempio dell’infermiere di comunità o della sentinella di comunità, persone che tengono il polso della situazione spesso socio-sanitaria ma non solo. In realtà abbiamo delle figure simili anche nei settori economici. Per esempio il geologo condotto, che va in giro per la comunità valutando la tenuta delle strade e dei territori, senza che ogni singolo cittadino debba provvedere di per sé e da solo a verificare queste cose. Singoli soggetti che curano servizi collettivi, non solo nel welfare, ma anche nel turismo. Pensiamo all’albergo diffuso, in cui i turisti vengono distribuiti nelle case del paese ma alcuni servizi rimangono centralizzati. O come si è fatto nelle comunità di accoglienza della Calabria con i servizi per gli stranieri. Servizi comuni gestiti dalla comunità a favore dei singoli, cioè la comunità offre dei servizi specifici che nascono su input di emergenze, vedi quella relativa alla pandemia da Covid-19. Per esempio, a turnazione ogni giorno una famiglia di un borgo fa il pane per tutti quanti e il sindaco stesso si attrezza per distribuirlo».

È vero che la pandemia da Covid-19 ha mostrato che le comunità locali non solo non sono sparite, ma si sono ricomposte, in forme spesso inedite, di fronte all’emergenza?

«Sì, di fronte a un’emergenza la comunità locale ha una capacità di reazione immediata. La necessità spinge a ricompattarsi intorno a delle persone, che prendono in mano la situazione, pensiamo al terremoto o al Covid-19. Ci si attrezza con quello che si ha. Nei nostri territori c’è stata la rincorsa ai vecchi medici di famiglia, ai medici condotti, andati in pensione e che erano spariti. Medici tagliati dalla sanità, ma ancora ci sono nei borghi, sono stati richiamati perché sono gli unici che conoscono casa per casa, anziano per anziano. Stiamo parlando di comunità in costruzione per metà nuove e per metà vecchie, sono arrivati ad abitare lì stranieri con famiglia, i giovani nativi del luogo sono tornati per aiutare in questa situazione di emergenza».

Chi sono le “sentinelle di comunità”? 

«Sono persone singole, dipendenti del Comune, dotati di una piccola automobile, oppure volontari che vengono ingaggiati con forme contrattuali di vario genere, che conoscono il territorio. Ciò avviene soprattutto nel Nord d’Italia, dove gli abitanti dei piccoli centri sono anziani. Queste persone sanno di quale patologie soffrono gli anziani o di cosa hanno bisogno. Fanno la spesa, accompagnano gli anziani e si occupano di gestire dei servizi minimi. Stiamo parlando di aree remote del nostro Paese: c’è chi si occupa degli anziani e chi si occupa della cura dei bambini, i quali nelle aree remote sono abbandonati a se stessi. Ecco perché queste aree si spopolano, non ci sono servizi per l’infanzia e alle donne in stato interessante. Possono anche esserci delle “sentinelle” di tipo ambientale che monitorano continuamente l’ambiente e le persone che lo abitano».

E le comunità solidali? 

«L’alternativa alle comunità solidali è la frammentazione totale, l’Italia del rancore, della rabbia, di ciascuno a casa sua, fare la guerra a tutti gli altri… Vi sono invece delle comunità che ritengono occorra collaborare per poter sopravvivere».

Secondo Lei la pandemia ha modificato, almeno in parte, il carattere “campanilista” di noi italiani oppure anche a causa del lockdown finalmente ci sentiamo comunità? 

«Sono un pessimista della ragione e un ottimista della volontà. Quindi mi auguro che da questa tragedia qualcosa si sia imparato. Quello che sta accadendo negli ultimi giorni dimostra, però, che c’è stata troppa fretta nel ritornare a come si era prima, facendo finta che quello che si aveva prima era il meglio che si potesse avere. Non è così. Pensiamo alla povertà e alle tante ingiustizie che albergavano prima di febbraio nel nostro Paese e che ora si sono ingigantite. Questo tragico evento storico ci ha segnato nel profondo, inutile negarlo. Pensiamo ai giovani che per più di due mesi sono rimasti a casa pur di proteggere i loro nonni».