Produrre grano per fare il pane: il prezzo aumenta di 15 volte

Produrre grano per fare il pane. Una banalità, si direbbe, che invece rappresenta uno dei più importanti compiti dell’agricoltura: produrre cibo e produrlo per tutti.
Il tema è di grande attualità, soprattutto quando, come hanno fatto ancora recentemente i coltivatori diretti, si compara il prezzo del pane con quello del grano e se poi si pone attenzione alla quantità di grano prodotto nel mondo. Emerge allora da tutto questo l’importanza assoluta della produzione agricola. E i molti problemi che la produzione di cibo deve comunque ancora affrontare.
Il prezzo del pane, dunque. Da una analisi Coldiretti si capisce che dal grano al pane il prezzo aumenta di quasi 15 volte. Alla base di questo fenomeno, sarebbero le molte speculazioni oltre che le “importazioni selvagge di prodotto dall’estero con pagnotte e panini spacciati come italiani all’insaputa dei consumatori”. Al di là delle importazioni, tuttavia, ciò che più conta è la crescita dei costi che, alla fine, pesa sul consumatore finale. Per capire basta poco. Oggi – sottolinea l’associazione dei coltivatori diretti – un chilo di grano tenero è venduto a meno di 21 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini a valori variabili ma attorno ai 3,1 euro al chilo. E non solo, perché il prezzo varia molto a seconda della geografia. Così, se a Milano una pagnotta da un chilo costa 4,22 euro, a Bologna si arriva addirittura a 4,72 euro, ma a Napoli si scende fino a 1,89, mentre a Roma si arriva sui 2,63 euro, a Palermo sui 3,02 euro e a Torino sui 3,05 euro. Se poi si passa ad un confronto europeo, si vede come in Italia (stando ai dati diffusi da Eurostat) i prezzi del pane siano superiori del 14,5% rispetto alla media in Europa; il pane in Danimarca, inoltre, è il più caro d’Europa, il più economico lo si trova in Romania.
E non basta ancora. Se sul fronte del consumo acquistare il pane può costare caro ai consumatori, su quello della produzione della materia prima la farina non riesce a remunerare i produttori. Anche in questo caso basta poco per capire. Gli agricoltori, spiegano ancora i coldiretti, devono vendere ben 5 chili di grano per potersi pagare un caffè o una bottiglietta di acqua al bar. Quello del grano, d’altra parte, è solo un caso degli squilibri che assillano la filiera agroalimentare. Per ogni euro di spesa in prodotti agroalimentari freschi come frutta e verdura, per esempio, solo 22 centesimi arrivano al produttore agricolo ma il valore scende addirittura a 2 centesimi nel caso di quelli trasformati dai salumi fino ai formaggi, mentre il resto “viene diviso tra l’industria di trasformazione e la distribuzione commerciale che assorbe la parte preponderante”.
Insomma, per il pane così come per numerosi altri prodotti agroalimentari, c’è un grande lavoro di riequilibrio da compiere, un’operazione che deve tenere conto della necessità di assicurare una giusta remunerazione ai coltivatori così come alle altre componenti della filiera, ma anche un equo prezzo d’acquisto per i consumatori. Al di là della difesa delle produzioni agroalimentari nel mondo e della giusta e importante valorizzazione dei grandi nomi del comparto, proprio l’equilibrio delle remunerazioni e la loro relazione con il mercato al consumo, continuano ad essere due dei temi principali da risolvere. Soprattutto oggi.
E’ comunque un’agricoltura ancora una volta importante quella che sta dietro ad una pagnotta: alimento di base per tutti eppure spesso così trascurato.