E se fossimo noi ad affogare?

Le condizioni disumane dei migranti e le nostre dimenticanze

Un'immagine del nuovo naufragio avvenuto nel Canale di Sicilia e la Marina Militare precisa che sono cinque e non sette, come in un primo momento era stato comunicato, i morti recuperati a bordo di un barcone carico di oltre 500 migranti che si è capovolto a circa venti miglia al largo delle coste libiche. Roma, 25 maggio 2016. ANSA/ UFFICIO STAMPA MARINA MILITARE +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Strano Paese è il nostro. Da qualche tempo gira la notizia che a diffondere il virus siano i migranti. Poco importa se fonti autorevoli continuano a sostenere che il numero dei migranti all’emergenza coronavirus sia minimale e che una parte di loro si infetta nei centri di accoglienza dove è più difficile rispettare le misure sanitarie adeguate. D’altronde, nel nostro Paese sono ancora in molti a credere che gli F35, aerei che costano più di 100 milioni di euro ciascuno, siano di difesa e non, come effettivamente sono, veri e propri aerei di guerra

I ventimila morti che non fanno più notizia

La cifra è certamente sottodimensionata ma sono almeno ventimila le persone, donne e uomini, vecchi e bambini, che in questi ultimi anni sono affogati nel Mediterraneo. Migranti dispersi e morti nel mare nel tentativo disperato di raggiungere le coste. Ciascuno di essi con un volto, un nome, una storia. Due settimane fa, il peggior naufragio del 2020. Una cinquantina di persone, e tra questi cinque bambini, che provenivano dal Senegal, dal Mali, dal Ciad e dal Ghana. 

Morti che non fanno più notizia presso le distratte opinioni pubbliche europee. Che non muovono i governi – tra cui anche il nostro – che, sotto la pressione nazional-populista, scelgono di disattendere progressivamente i propri impegni umanitari.

Tra le poche voci che ancora, con coraggio, si levano, quella di papa Francesco.

Il mese scorso durante l’omelia nella messa per l’anniversario della visita a Lampedusa (8 luglio 2013) ha detto: “C’erano degli interpreti. Uno raccontava cose terribili nella sua lingua, e l’interprete sembrava tradurre bene; ma questo parlava tanto e la traduzione era breve. “Mah – pensai – si vede che questa lingua per esprimersi ha dei giri più lunghi”. Quando sono tornato a casa, il pomeriggio, nella reception, c’era una signora – pace alla sua anima, se n’è andata – che era figlia di etiopi. Capiva la lingua e aveva guardato alla tv l’incontro. E mi ha detto questo: “Senta, quello che il traduttore etiope Le ha detto non è nemmeno la quarta parte delle torture, delle sofferenze, che hanno vissuto loro”. Mi hanno dato la versione “distillata”. Questo succede oggi con la Libia: ci danno una versione “distillata”. La guerra sì è brutta, lo sappiamo, ma voi non immaginate l’inferno che si vive lì, in quei lager di detenzione. E questa gente veniva soltanto con la speranza e di attraversare il mare.”
E nell’Angelus di domenica 23 agosto ha detto con forza: “Il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza. Sono stati vittime della cultura dello scarto”. 

I lager a cielo aperto. Gridare tutta la nostra indignazione

Per questo ho trovato necessaria e di grande valore la lettera aperta pubblicata da Nigrizia, Libera, Centro Astalli, Comboniani e decine di altre associazioni umanitarie. Che inizia con un titolo provocatorio: “Se fossimo noi ad affogare?”. Una domanda che interroga le coscienze e punta il dito sulle responsabilità italiane ed europee per le morti dei migranti nel Mediterraneo. 
Nella lettera, i firmatari scrivono la necessità e l’urgenza di “gridare tutta la nostra indignazione, metterci il nostro corpo e non solo la faccia, esigere un cambio di rotta dell’Italia e dell’Europa, complici delle stragi dei migranti, di fronte agli ennesimi crimini di omissione di soccorso! Non ci resta che questo, dopo le ultime tragedie del Mare Nostrum”.

Riferendosi al naufragio avvenuto la notte tra il 14 e il 15 agosto, gli estensori della lettera ricordano i morti e il destino dei sopravvissuti che, recuperati da un peschereccio, una volta portati sulla terraferma, sono stati trasferiti in un centro di detenzione libico, uno di quelli gestiti dal governo di Tripoli. Lager a cielo aperto, dove le persone sono tenute in condizioni insopportabili e represse selvaggiamente se si ribellano. Da lì, con la complicità di poliziotti al servizio dei trafficanti, chi non è registrato nelle liste dell’Unhcr viene spesso venduto e sparisce in un centro informale gestito da uno dei gruppi armati fedeli a Tripoli che hanno avviato da anni un florido mercato di esseri umani.
La lettera aperta prosegue:

“Subito dopo quella strage, in meno di una settimana, ne sono avvenute altre tre: il bilancio totale è di 100 morti e altre 160 persone sparite dopo aver preso il largo!

Non possiamo restare a guardare e a contare senza muoverci! È gravissimo che sia proprio l’Italia a finanziare la guardia costiera libica. Il governo italiano continua nei fatti le politiche di respingimento dei migranti violando il diritto internazionale che prevede l’obbligo di accoglienza dei profughi che scappano da guerre e da violazioni di diritti umani. Inoltre l’Italia tiene ancora bloccate nei porti ben quattro navi che potrebbero salvare altri migranti. “Le vostre mani grondano sangue” tuonava il profeta Isaia ai capi del popolo ebreo responsabili dei crimini contro i più indifesi (Is 1,15). Noi diciamo basta!”

Noi uomini, noi cristiani, cosa diciamo?

  1. Secondo me il problema va affrontato fin dall’origine, dove si creano le condizioni per cui la gente è costretta a fuggire, e la gestione del problema, compresi imbarchi e s archi, dovrebbe essere in sede ONU.

    1. Purtroppo, sig. Gianfranco, a me pare difficile, pronunziarsi su cosa fare oggi, su un fenomeno che per la maggior parte è causata da guerre e sfruttamento dei suoli o sottosuoli che il mondo chiamato avanzato e civile, ha “visto” le innumerevoli popolazioni a causa di egoismi di pochi, a discapito dei più, soffrire povertà, e sopraffazioni! Guardi che questo capita anche nella super-civilizzata Europa e haimé anche in Italia, dove le multinazionali hanno avuto buon gioco, facendo man bassa di interi territori con grandi guadagni a fronte delle popolazioni autoctone, sempre più impoverita e inconsapevole del destino che ormai appartiene a tutti, salvo, che per le “casse” di pochi supermiliardari! a mio modesto parere, è da qui che è necessario un cambio di rotta, dove le nostre abitudini(di tutti) devono indurre a cambiamenti radicali che dalla “base” arrivi alla cima della piramide! Come cristiana, mi sento ben rappresentata da Papa Francesco, che sta mettendo in evidenza, a volte incompreso, i punti focali su cui noi tutti possiamo esercitare, quella conversione profonda, che farà cambiare la mentalità e modo di agire! grazie per l’ascolto

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