“Superiamo la paura: il rientro a scuola è un segno di speranza”

professore, mascherina

Manca ormai pochissimo al 14 settembre, giorno in cui le scuole riapriranno. Una data, quella di lunedì prossimo, che suscita una certa dose di inquietudine e perplessità in alcuni genitori, preoccupati per la salute dei propri figli e non pienamente paghi delle linee guida e dei protocolli emanati dal Miur per affrontare la pandemia di Covid-19. Ma se il rientro a scuola (definito «sfida difficile» dal ministro dell’Istruzione Azzolina), secondo il parere di molti, resta una mezza incognita, per Daniela Noris, da più di vent’anni docente di religione presso il liceo scientifico «Filippo Lussana» e, dal 2018, direttrice dell’Ufficio per la Pastorale Scolastica della Diocesi di Bergamo, l’inizio delle lezioni risulta comunque doveroso, un passaggio obbligato e un messaggio di speranza, poiché una società matura non può prescindere dalla scuola, per antonomasia, luogo di incontro, condivisione e crescita personale.

Professoressa Noris, una critica ricorrente alle direttive del Ministero dell’istruzione è quella che afferma come sia stato effettuato uno “scarica barile” sui dirigenti scolastici, lasciati completamente soli e impegnati a preoccuparsi, soprattutto, di come organizzare gli spazi. È davvero così?

«Sento ripetere in continuazione: “I presidi si sono occupati solo degli spazi”. Ma se penso alle scuole dell’infanzia (ripartite gli scorsi giorni e in cui si è garantita la completa presenza fisica di tutti i bambini), mi dico che un dirigente scolastico non poteva non iniziare dall’organizzazione dei luoghi a disposizione, dalla conta delle aule. Ovviamente, ciò non è sufficiente, ma ripeto: non mi scandalizza immaginare che un dirigente abbia cominciato da questo nodo, perché è, ovviamente, il primo passo per capire come gestire al meglio la quantità degli alunni e comprendere se ci sia necessità o meno di spazi ulteriori. Molte scuole dell’infanzia (paritarie e non) hanno chiesto, nei mesi di luglio e agosto, di poter aumentare di una sezione il numero delle classi, poiché avevano una metratura sufficiente per poterlo fare e perché una maggior distribuzione dei discenti avrebbe permesso una gestione migliore. La critica all’ “autonomia dei presidi”, se così si può dire, mi trova in totale disaccordo. Questa libertà di gestione è stata solo la modalità più flessibile e intelligente che il Ministero ha intrapreso per venire incontro alla specifica e particolare realtà di ogni singolo istituto. Non si è caduti nel dirigismo statale, al contrario: i dirigenti sono stati chiamati ad attuare delle valutazioni su misura, coerenti al profilo della propria scuola e nel rispetto, ovviamente, delle norme generali di sicurezza, in primis quelle di distanziamento».

Quali sono le misure di sicurezza che verranno attuate dalla scuola?

«Per quanto riguarda il “Lussana” (circa 1.700 studenti), non verrà applicato il doppio turno, bensì attuate delle entrate scaglionate durante la mattinata (8, 9 e 10); ci saranno, poi, tre punti d’ingresso differenziati, in modo da scongiurare il sovraffollamento, così che i ragazzi potranno raggiungere, nel minor tempo possibile, la propria classe. Le aule saranno ripartite in base al numero degli studenti e presenteranno, al loro interno, dei bolli che indicheranno dove dovrà stare (e per nessuna ragione essere spostato o rimosso) il banco fisso. Ragazzi e docenti riceveranno una serie di indicazioni che illustreranno come muoversi in sicurezza e come accedere, nel modo più appropriato, ai servizi, ai laboratori e come partecipare all’intervallo. Per ora, non c’è l’obbligo di utilizzare sempre la mascherina, se non mentre si cammina all’interno dell’aula o da un luogo all’altro dell’istituto. Se il metro statico di distanza è garantito, comunque, la si può togliere. Le lezioni saranno di sessanta minuti e, almeno per adesso, non si parla né di didattica a distanza, né di didattica digitale integrata».

Per quanto riguarda i trasporti pubblici, ci sarà un aumento dei servizi sul territorio bergamasco?

«Da quel che ho capito, ci sarà un aumento della frequenza: l’orario d’entrata scaglionato permetterà ad uno stesso bus di fare la spola, avanti e indietro, più volte. Non posso però affermarlo con certezza, anche perché ciò non dipende direttamente dalla scuola. Il Ministero ha stabilito che i pullman e gli autobus potranno avere una capienza dell’80%. Se si pensa al fatto che, prima del Covid, le persone, sui mezzi di trasporto pubblici, si assembravano enormemente, significa che il numero reale di coloro che potranno usufruire di un mezzo pubblico calerà notevolmente. È una questione spinosa e complessa, per la quale serve la collaborazione di tutti. Immagino, comunque, che vedremo un gran numero di ragazzi arrangiarsi diversamente: ci sarà chi verrà a piedi, chi in monopattino, in bici o in motorino e chi si farà accompagnare dai propri genitori».

Se un alunno, durante la giornata scolastica, presenterà febbre o sintomi riconducibili al Covid, come ci si comporterà?

«In una situazione del genere, il protocollo da seguire è quello unico che il ministero ha emanato per tutte le scuole di ogni ordine e grado: l’alunno verrà isolato in una stanza predisposta e si provvederà a contattare la famiglia, che porterà il ragazzo dal proprio medico curante. Sarà il medico a valutare, poi, cosa fare, se segnalare il caso all’Ats o procedere diversamente».

A riguardo delle direttive ministeriali, quali sono, per lei, i punti che possono celare possibili criticità?

«Un serio problema potrebbe essere quello della valutazione, nel caso ci fosse un certo numero di studenti costretto, causa quarantena, a stare a casa. Come valutare questi ragazzi? Il ministero, anche in questo caso, ha dato delle indicazioni a riguardo. La valutazione deve sempre essere trasparente e costante, ma, indubbiamente, questo è un aspetto davvero delicato. Un’altra possibile difficoltà potrebbe essere quella del rapporto con le famiglie: la collaborazione fra docenti e genitori sarà fondamentale e si dovrà quindi cercare di andare d’accordo. C’è poi l’annosa questione del giusto sostegno dato agli insegnanti: è sempre troppo poco e, spesso, inadeguato. Non parlo di supporto tecnologico o organizzativo, ma di attenzione umana. Se l’insegnante (e il suo ruolo), all’interno di una società, viene riconosciuto e valorizzato, la sua didattica e il suo stare fra gli studenti ne trae beneficio».

L’Ufficio per la Pastorale Scolastica della Diocesi ha avanzato qualche proposta al mondo della scuola bergamasca?

«Durante il lockdown, si è intuito come il grande bisogno degli insegnanti della scuola primaria fosse quello di capire in quale maniera, nonostante la distanza fisica, potessero stare vicino ai propri alunni. Con l’area formazione del Patronato San Vincenzo e tramite la dottoressa Grazia Zucchetti (che, a sua volta, ha coinvolto la psicoterapeuta Ivana Simonelli), abbiamo organizzato un incontro streaming gratuito di due ore che è stato seguito da oltre mille insegnanti che avevano bisogno di sentirsi dire come approcciare i bambini dall’altra parte del monitor. A questo primo appuntamento ne sono seguiti altri due: uno sui giovani e uno rivolto ai genitori. Il 31 agosto, invece, si è svolto, sempre in streaming, un seminario, tenuto dalla dottoressa Simonelli, sul tema dell’accoglienza, ovvero come si sarebbero dovuti accogliere i bambini quando le scuole avessero riaperto».

Come accoglierà i suoi studenti?

«Concretamente, selezionando le parole più adatte da dire e avendo cura di loro. Alcuni, forse, avranno perso un familiare o un amico; altri, come, per esempio, gli alunni con disabilità, avranno sofferto particolarmente il periodo di lockdown e le loro fragilità, da sempre presenti, emergeranno in tutta la loro forza. Proprio per questo, bisognerà stimolarli a raccontare, a dare forma alla loro emotività, a mettere un ordine nella narrazione del loro vissuto, legittimando le loro emozioni. Sarà necessario rielaborare il trauma e il lutto per poi riappropriarsene. Mi piacerebbe che quel che tutti noi, in questi ultimi mesi, abbiamo sperimentato, potesse farsi stile, diventare modo di essere, così da influire sugli atteggiamenti, sui comportamenti, sulle scelte presenti e future. Spero che il dolore e la tristezza possano farsi empatia, così da mutare, infine, in qualcosa di profondamente significativo».

Lei è madre di tre figli. Da mamma, qual è il suo stato d’animo attuale, è preoccupata?

«I miei figli sono tutti grandi ormai e fuori dalla scuola dell’obbligo. Ma mi metto nei panni delle madri dei miei studenti e ne capisco l’inquietudine. La paura è che il proprio figlio si ammali o che possa diventare veicolo del virus e portarlo a casa, dove, magari, sono presenti anziani malati. Ma ho tantissima voglia di tornare a incontrare i miei colleghi e i miei alunni, recuperare il rapporto con loro. Le misure di sicurezza e i sistemi di protezione che possediamo, se messi in atto correttamente, sono armi di difesa potenti, non dimentichiamolo. Qualche timore rimarrà ma, una volta che tutto si sarà avviato, la paura, inesorabilmente, scemerà. Forse, il Covid ci ha fatto davvero comprendere quanto sia importante la scuola, per la formazione e la socialità dell’individuo, quanto fondamentale sia la sua funzione all’interno di una comunità di persone. La scuola non poteva non aprire. E questa è già una piccola rivincita sul virus, nonché un grande messaggio di speranza».