L’economia? Dalla crisi alla speranza con il tocco della creatività femminile

Alessandra Smerilli, religiosa delle Figlie di Maria ausiliatrice, professore ordinario di Economia politica alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” di Roma, compie una vera e propria sfida identificando, nel volume “Donna economia. Dalla crisi a una nuova stagione di speranza” (Edizioni San Paolo 2020, pp. 192, 16,00 euro), l’economia come donna, considerato che la scienza economica mo­derna si è costruita tutta al maschile. 

La copertina del libro

Eppure la parola economia deriva dal greco “oikos-nomos” cioè cura e gestione della casa, dove per casa possiamo intendere le mura domestiche, ma anche la casa comune, il Pianeta in cui abitiamo. Un Pianeta dove le donne avrebbero tanto da dire e insegnare, ma finora lo sguardo sulla casa e sulla nostra casa comune è stato molto maschile. 

Ecco perché il testo è dedicato: “A tutte le persone che con il loro lavoro, il loro pensiero, la loro creatività, contribuiscono a rendere l’economia uno strumento a servizio dell’umanità e della nostra casa comune”. 

Ne parliamo con l’autrice, nominata da Papa Francesco nel 2019 Consigliere dello Stato della Città del Vaticano, socia fondatrice e direttrice del Comitato scientifico di indirizzo della Scuola di Economia Civile e membro del comitato etico di Etica SGR, la quale da anni si muove fra studi economici e impegno nella fede. 

Professoressa Smerilli, per quale motivo finora lo sguardo sulla casa e sulla nostra casa comune è stato molto maschile? 

«È un tema che riguarda un po’ come sia andata costituendo l’economia e la scienza economica, che come tutte le scienze si è costruita al maschile. L’economia insieme ad altre scienze, come le scienze matematiche, fisiche, ecc.., più di altri ambiti di interesse è stata popolata molto di più da uomini che da donne, sia storicamente sia nel presente. Per cui anche a livello accademico la percentuale dei professori di economia è molto più alta quella degli uomini rispetto a quella delle donne, anche se nei dottorandi si comincia ad avere un po’ più di parità, però questo vuol dire che lo sguardo è stato molto maschile. Normalmente quando ci sono ambienti così connotati è difficile per le donne entrare con un pensiero che non sia allineato. Questo ha contribuito ancora di più sia ad escludere sia ad avere uno sguardo un po’ monolitico». 

Perché è così importante che ci siano don­ne a pensare l’economia? 

«A proposito di sguardi, quando noi guardiamo con un occhio solo deformiamo la realtà, non la vediamo bene. Quindi è importante che ci siano sguardi diversi, plurali, anche di donne, non sto dicendo che uomini e donne siano completamente diversi, ma ci sono delle sfumature e delle sensibilità diverse, per cui è importante che si guardi insieme l’economia, la nostra casa comune, perché in questo modo anche le proposte che si fanno, penso alla politica economica, possano andare nella direzione giusta, che è quella di preservare la biodiversità, non solo nella natura ma anche in campo sociale ed economico. Avere attenzione ai temi della cura, temi che oggi sfuggono al mainstream economico, se pensiamo che molti di questi aspetti relativi al lavoro di cura sono relegati alle donne, sono relegati a una sorta di economia informale che emerge poco, vuol dire che non hanno il giusto rilievo, il giusto peso all’interno di una economia e di una società come si è andata costruendo finora». 

Ci fa un esempio di finanza al servizio delle persone? 

«Tutta la finanza di per sé nasce al servizio dell’economia e quindi delle persone, quello che noi vediamo della finanza fatta per la finanza, di soldi per far soldi, è una deviazione della finanza. Muhammad Yunus,  economista e banchiere bengalese, dice che il diritto al credito è un diritto umano fondamentale, perché non si può essere discriminati in base alle dotazioni di partenza, in base al luogo in cui si nasce. Quando si hanno idee e progetti da realizzare, tutti dovrebbero avere le stesse opportunità. Per esempio, tutto il microcredito che si è sviluppato in società, dove la cultura patriarcale era molto affermata, è stato uno strumento di sviluppo. Tutta la finanza che va a costruire opportunità per chi non le ha, è una finanza al servizio della persona». 

Chi sono le donne di “Economy of Francesco”? 

«In “Economy of Francesco” come processo sia come gruppo di coordinamento abbiamo tante coordinatrici che gestiscono interi villaggi. Io sono una di quelle, mi occupo del villaggio “Finance and Umanity”, “Finanza e Umanità”. Abbiamo la responsabile del villaggio “Economy is woman”, “L’economia è donna”. C’è anche un intero villaggio tematico nei lavori di Assisi dedicato a questo tema. Tra gli adulti che accompagnano i giovani, abbiamo tante economiste, filosofe, molte figure interessanti di donne che hanno da dire oggi qualcosa sull’economia. Metà dei partecipanti a “Economy of Francesco”, sono giovani donne, economiste, ricercatrici, imprenditrici, che stanno facendo tanto, sia a favore di altre donne sia nei loro territori, per uno sviluppo che risponda alla domanda del Papa: “Cambiare l’economia di oggi, dare un’anima all’economia del futuro”». 

Emblematico è il sottotitolo del volume “Dalla crisi a una stagione di speranza”. Possiamo ancora permetterci di sperare e quali ritiene siano i provvedimenti più urgenti per uscire dalla crisi attuale? 

«Credo che più i tempi sono bui, più abbiamo bisogno di una speranza e di una speranza fondata, non di illusioni. Questo è un tempo che, secondo me, siamo autorizzati a sperare, proprio perché tutto quello che credevamo non dovesse mai cambiare, in un attimo, la pandemia ci ha dimostrato, che può cambiare. Quindi, questo è il momento più opportuno per cui, grazie a un male che ci sta attraversando tutti, stiamo capendo che il bene forse deve passare per strade diverse di quelle che abbiamo percorso fino ad ora. È un tempo in cui abbiamo capito per esempio l’importanza della cura e della prevenzione, e di dedicare risorse a questo, è un tempo in cui abbiamo cambiato il modo di lavorare e di muoverci, è un tempo in cui abbiamo ritrovato dei nuovi ritmi. Quindi è un tempo in cui si può davvero sperare che qualcosa possa cambiare in meglio. Più che provvedimenti urgenti, parlerei di provvedimenti necessari e importanti per uscire da questa crisi. Avremo uno/due anni in cui con un po’ di visione avremo le risorse per poter innescare grandi cambiamenti. Ma ci vuole visione. La direzione non può che essere quella di un’economia in una società riconciliata con l’ambiente e con la natura, ma in senso integrale, come ci dice la “Laudato si’ ”, perché sappiamo che il grido dei poveri e quello della Terra è lo stesso grido, quindi la risposta deve essere uguale a queste istanze. Quello che gli studi ci dicono è che ci sono misure che hanno come obiettivo la sostenibilità ambientale, il rispetto della natura, la transizione energetica, tutti temi legati all’ambiente e che hanno degli effetti moltiplicativi sull’economia e che possono generare, a parità di altre cose, più posti di lavoro, che possono mettere in moto l’economia in modo sano. Occorre inoltre preventivare che in una transizione ci sono delle persone che perdono il lavoro, non aspettate che questo avvenga. Da qui l’importanza di avere dei piani di riqualificazione per preparare le persone per i lavori di cui abbiamo bisogno per avviare questa transizione. Abbiamo bisogno di spese in ricerca e in sviluppo su questi temi, perché abbiamo bisogno di innovazioni, di spese in educazione di un certo tipo per preparare anche persone competenti. Quindi da una parte la riqualificazione di chi già lavora e dall’altra parte la formazione di chi deve entrare nel mondo del lavoro. Sono tutti investimenti che se vengono fatti in maniera coordinata e massiccia possono generare un cambiamento e non far cadere in quelle sacche di povertà che ci aspettiamo per il fatto che sappiamo che il drastico calo del Pil nella recessione in cui si è entrati, prevederà al più presto una diminuzione dei posti di lavoro. Tutto questo andrebbe preventivato e gestito subito, non dopo che la crisi sociale si sia consumata». 

Il Coronavirus ha aumentato il gap tra donne e uomini sul lavoro. La crisi da Covid-19 ha messo in risalto un vulnus già preesistente nella nostra società? 

«Il  Covid-19 non ha fatto altro che portare in evidenza quelle che già erano le debolezze delle nostre società, a livello mondiale, non solo italiano. Sono emerse disuguaglianze che già esistevano, come il “digital divide”, il divario digitale. Questo divario in Italia è aumentato, gli studenti più fragili  dal punto di vista digitale rischiamo di perderli. Sono state enfatizzate disuguaglianze già esistenti, anche tra uomini e donne, il lockdown avrebbe dovuto riequilibrare i carichi di lavoro, sia l’uomo sia la donna lavoravano in casa. Alcune ricerche hanno dimostrato che solo il 55% degli uomini ha dato una mano in casa. Le donne sono quelle più propense, più inclini a lasciare il lavoro e hanno dovuto farlo o lo faranno anche per motivi di gestione familiare, le scuole chiuse hanno creato problemi enormi, le donne sono quelle che soffrono e che soffriranno di più da quello che verrà fuori da questa pandemia. Ed è per questo che c’è bisogno di agire a questo livello. Faccio parte della task force “Donne per un nuovo Rinascimento” voluta dal Ministro per le Pari Opportunità e la famiglia Elena Bonetti per elaborare idee per il rilancio sociale, culturale ed economico dell’Italia dopo l’emergenza da Covid-19. Abbiamo fatto alcune proposte ma sono solo l’inizio di un cammino che a mio parere è del tutto culturale e in Italia è molto marcato a differenza degli altri Stati europei. Il lavoro va fatto sugli uomini ma anche sulle donne che devono acquistare la consapevolezza che non tutto il mondo può cadere sulle loro spalle e che non è né giusto, né opportuno, né equo e né economico».