Francesco d’Assisi, uomo della pace e della povertà

“E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. L’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il Creato, in questo momento in cui noi abbiamo con il Creato una relazione non tanto buona, no? È l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero… Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Così Bergoglio, pochi giorni dopo la sua elezione al soglio di Pietro rivelò le ragioni della scelta del suo nome. 

Una versione inedita e originale della vita di un santo amatissimo e venerato dai fedeli di tutto il mondo, sullo sfondo di un appassionante e controverso contesto storico torna in“Vite apocrife di Francesco d’Assisi” (Fazi 2020, Collana “Le strade”, pp. 372, 17, euro). L’autore Massimiliano Felli, offre una rilettura insolita della figura del Santo umbro, nato ad Assisi nel 1181 o nel 1182 e morto sempre ad Assisi il 3 ottobre 1226, diacono e fondatore dell’ordine, che da lui poi ha preso il nome.

Nelle prime pagine del testo Felli precisa che benché basato su fonti storiche, il libro è da considerarsi un’opera di invenzione narrativa. Il romanzo, perciò, pagina dopo pagina si rivela una versione suggestiva della vita di san Francesco.

Ne abbiamo parlato con Felli che, nato a Roma nel 1984, dopo la laurea al DAMS e in Lettere ha insegnato materie umanistiche nei licei e ha intrapreso il dottorato in Antichità classiche, e attualmente lavora alla Banca d’Italia.

Per quale motivo quarant’anni dopo la morte del “Poverello d’Assisi”, l’Ordine francescano era già lacerato da divisioni interne? 

«Il motivo dei dissidi è principalmente l’interpretazione della “Regola” di Francesco. Una interpretazione che poteva essere più morbida, quella dei frati cosiddetti “Conventuali” e l’interpretazione più rigida, cioè quella più letterale, che auspicavano i frati “Spirituali”. Il punto è la difficoltà del seguire alla lettera le indicazioni di Francesco, per cui una larga parte, maggioritaria dell’Ordine francescano, ha cominciato a pensare una lettura più morbida di questi precetti che il fondatore aveva lasciato». 

Nel volume è fondamentale il personaggio di Fra’ Deodato d’Orvieto. Chi è e con quale missione?  

«Fra’ Deodato è un personaggio inventato ed è un giovane amanuense che ha una doppia missione: una gli viene affidata dal suo mentore, Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale dell’Ordine dei Francescani, che è invece un personaggio realmente esistito. Bonaventura incarica l’amanuense di andare in Umbria a trovare Fra’ Leone, un frate apostata che vive in un eremo immerso nel bosco. Anche questo personaggio è realmente esistito, e io l’ho interpretato in maniera libera. Nel mio romanzo questo frate da anziano inizia a spargere calunnie sul conto di Francesco. Fra’ Leone addirittura scrive lettere alle autorità laiche e religiose chiedendo loro di ricusare la canonizzazione di Francesco. Quindi l’amanuense ha il compito di stanare il frate apostata, perché deve essere messo a tacere. L’altra missione di Fra’ Deodato, nel romanzo, è la seguente: Bonaventura aveva dato ordine di distruggere tutte le fonti biografiche su Francesco, perché  la biografia di San Francesco, la cui stesura era stata affidata proprio a Bonaventura, doveva restare unica e ufficiale. Ma Fra’ Deodato, segretario di Bonaventura e assistente nella stesura della biografia canonica, non se la sente di bruciare tutte le fonti. Allora il giovane mette in salvo alcuni manoscritti, che in tal modo diventano proibiti, perciò li chiamo “apocrifi”, i quali in alcuni casi, divergono dalla versione di Bonaventura. Ecco perché dovevano essere distrutti. In realtà sappiamo che per secoli quella di Bonaventura è stata l’unica versione ufficiale, mentre nel Novecento sono emerse queste altre testimonianze, sfuggite a questo rogo che Bonaventura pare avesse davvero ordinato». 

Quanto è stata difficile la costruzione da parte della Chiesa di una biografia ufficiale di San Francesco, la cui stesura era stata affidata a Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale dell’Ordine dei Francescani? 

«La difficoltà era politica, cioè stava nel dare di Francesco una immagine non tanto veritiera quanto edificante e che fosse congruente con la situazione politica dell’Ordine francescano di quel tempo. Un Ordine che si stava “secolarizzando”, cioè stava andando incontro a esigenze dal punto di vista economico, sociale e che prevedevano un francescanesimo più “morbido”, che si avvicinasse al Monachesimo più tradizionale. Qualcosa di molto estraneo al Francesco delle origini, che era una figura eversiva rispetto a qualunque tipo di spiritualità codificata, anche quella benedettina, per dire. Quindi per istituzionalizzare l’Ordine, si doveva “tradire” almeno in parte il messaggio iniziale di Francesco».

Quando pensiamo al Santo Patrono d’Italia ricordiamo gli affreschi di Giotto con le Storie di San Francesco nella Basilica Superiore di Assisi. Chi era secondo la sua lettura l’uomo Francesco e quanto è attuale la sua  figura? 

«Nel romanzo non pretendo di descrivere l’uomo Francesco, ma descrivo “il mio Francesco”, una versione diversa, forse provocatoria per chi lo legge da un’ottica di fede. L’uomo Francesco è sì quello che emerge in parte da Bonaventura e in parte da Giotto, ma bisogna considerare che quelle sono probabilmente versioni molto edulcorate rispetto al messaggio rivoluzionario di Francesco. Quando si parla di lui di solito lo “scandalo” deriva dall’osservanza quasi letterale delle parole di Cristo. Questi elementi si trovano nelle versioni alternative, in quelle dei famosi compagni che avevano conosciuto Francesco, una serie di autori, che alcuni anni dopo la morte di Francesco scrissero versioni diverse rispetto alla biografia ufficiale di Bonaventura, peraltro scritta dopo le loro. Versioni diverse della vita di Francesco che non avevano la preoccupazione politica di Bonaventura. Le sue parole sono ancora attuali nonostante stiamo parlando di un uomo del Medioevo ma il suo messaggio era e resta troppo dirompente per qualunque epoca». 

Quali fonti ha consultato per la stesura del volume? 

«Ho consultato la maggiore storiografia su Francesco, a partire da storici come Chiara Frugoni, Franco Cardini, Chiara Mercuri. Ho consultato anche opere di storici non recenti come Arnaldo Fortini. Ho letto le fonti francescane, cioè il volume “La Letteratura francescana”, c’è una bellissima edizione della Fondazione Valla, che consiglio. Per la redazione del capitolo dedicato a Santa Chiara ho consultato gli atti del processo di canonizzazione di Santa Chiara, oppure nel libro c’è una scena dove si vede un processo a un eretico, per questo ho consultato gli atti dell’Inquisizione relativi a un processo di quell’epoca. Sia le fonti e sia una saggistica più antica come quella del Fortini sono molto importanti anche per costruire la lingua del libro. Quindi la fonte non è solo una fonte di notizie ma anche una fonte di strutture linguistiche e lessicali».