“Fratelli tutti”: “Solo uniti possiamo reagire e affrontare la crisi di oggi”

SS Francesco

“… Sognare come un’unica umanità in cui siamo tutti fratelli”.

“Sulla fraternità e l’amicizia sociale” è il sottotitolo di “Fratelli tutti”, la nuova enciclica di Papa Francesco, firmata nel pomeriggio dello scorso 3 ottobre ad Assisi al termine di una visita privata per le celebrazioni del Patrono d’Italia, senza la partecipazione dei fedeli a causa della pandemia da Covid-19. 

L’enciclica è una lettera circolare, che il Santo Padre invia a tutti i vescovi della Chiesa e, tramite questi, a tutti i fedeli, per un messaggio pastorale e indica la direzione da seguire, su temi cruciali che riguardano l’umanità, ed è uno dei documenti più importanti del magistero di un Papa.

“Fratelli tutti”, aperta da una breve introduzione e articolata in otto capitoli, il cui titolo è mutuato dalle “Ammonizioni” di San Francesco d’Assisi ha come tema centrale la fratellanza umana e l’amicizia sociale in tempo di pandemia, ed è la terza enciclica del pontificato di Papa Francesco, dopo la “Lumen fidei” del 29 giugno 2013 scritta a quattro mani con il Papa Emerito Benedetto XVI e la “Laudato si’. Sulla cura della casa comune” del 24 maggio 2015, che affronta la salvaguardia dell’ambiente. Questa enciclica è stata significativamente pubblicata il 4 ottobre, festa liturgica di San Francesco: “Fratelli tutti”, infatti, racchiude il cuore della spiritualità francescana. 

Gesto dal grande valore simbolico la firma dell’enciclica ad Assisi sulla tomba del Santo, semplice sarcofago di pietra racchiuso nel pilastro sotto l’altare maggiore della chiesa inferiore della Basilica di Assisi, la prima nella storia della Chiesa “bollata” fuori dalle mura vaticane.  

Di questo storico evento e del profondo significato della nuova enciclica, che esce in un momento storico segnato da una terribile crisi sanitaria e socio-economica, parliamo con Yahya Sergio Yahe Pallavicini, Presidente e imam della CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana, imam della Moschea al-Wahid di Milano in via Meda, dal 2006 consigliere del Ministero dell’Interno nella Consulta per l’Islam italiano e Presidente del Consiglio ISESCO per l’educazione e la cultura in Occidente. 

“Fratelli tutti”, un titolo che è già un programma, perché mai come adesso abbiamo bisogno di superare ciò che divide noi e gli altri. Imam Pallavicini, è possibile immaginare un mondo dove siamo tutti fratelli e «la pace è un “artigianato” che coinvolge e riguarda tutti e in cui ciascuno deve fare la sua parte»? 

«La risposta è sì tranne che per il verbo “immaginare”. Credo che sia un dovere naturale, quindi fa parte di una realtà il fatto comunque di riconfigurare i nostri rapporti secondo una fratellanza, perché è il nostro rapporto naturale. Capisco che dica “immaginare” perché purtroppo siamo così abituati a non vederci e a non riconoscerci come fratelli, che sembra quasi che si debba fare uno sforzo dell’immaginazione. Invece se noi partiamo da ciò che noi siamo, e noi siamo fratelli, allora effettivamente ci rendiamo conto che quello che ci divide è un velo articificiale sulla realtà. Quindi sì, bisogna proprio ritrovare questa naturale fratellanza originaria e costruirla insieme. In questo senso il termine dell’enciclica “artigianato” è interessante, perché è un’arte da ritrovare dove ognuno ha il suo mestiere e la sua responsabilità. Insieme diventiamo interpreti e testimoni di un’arte sacra». 

Nelle prime pagine dell’enciclica il Pontefice ricorda la visita del 1219 in Egitto di Giovanni di Pietro di Bernardone mentre era in corso la quinta crociata per incontrare il sultano Malik al-Kamil, nipote di Saladino. “Ci colpisce come ottocento anni fa San Francesco d’Assisi raccomandasse di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna sottomissione, pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede”. È anche questo aspetto che rende il Poverello un santo rivoluzionario, dal messaggio dirompente? 

«Sì in due sensi. A Damietta quando san Francesco ribalta alcune conversazioni, impressioni, pregiudizi e attraversa il campo degli eserciti in conflitto per arrivare a conoscere uno sconosciuto, il sultano Malik al-Kamil. Quindi c’è la necessità di seguire questa prima rivoluzione, che è quella di superare pregiudizi, diffidenze, ostacoli, paure e anche il caos di un disordine di una guerra, che purtroppo degenera in una violenza tra innocenti. Poi c’è la seconda rivoluzione, che è quella che San Francesco fa al suo ritorno da Damietta in Italia fra i frati. Questi ultimi non riconoscono San Francesco, perché è profondamente cambiato da quell’esperienza. Invece i frati devono saper riconoscere lo sviluppo spirituale di un poverello, che ha saputo incontrare Dio e anche riconoscere in un fratello musulmano, un fratello. La prima rivoluzione francescana consiste nel portare pace dove c’è il disordine e la seconda è aggiornare la pace alla luce di una crescita spirituale e di un incontro nuovo».

“Fratelli tutti” si richiama al documento di Abu Dhabi sulla “Fratellanza umana. Per la pace mondiale e la convivenza comune” firmato il 4 febbraio 2019 da Papa Francesco e da Ahmad Al-Tayyeb, grande imam Al-Azhar, storica dichiarazione di fratellanza firmata dal Santo Padre con i musulmani sunniti negli Emirati Arabi?  

«Sì, nell’enciclica ci sono una decina di citazioni, che si rifanno espressamente a questo documento di Abu Dhabi. Più volte il Papa menziona Ahmad Al-Tayyeb con espressioni di stima e amicizia. L’enciclica è uno sviluppo e una conferma di quel grande evento storico della fratellanza tra cristiani e musulmani, ma rivolta anche lì, come nell’enciclica, a tutti gli uomini e a tutte le donne, riconoscendo la fratellanza specifica e particolare tra cristiani e musulmani». 

Il concetto di fratellanza universale è uno dei capisaldi del pontificato
di Bergoglio, da promuovere non solo con le parole ma con i fatti, tramite una “politica migliore”, al servizio del bene comune e lontana dai populismi. Vale soprattutto in questo difficile passaggio epocale che stiamo vivendo? 

«Sì, questa è una responsabilità spirituale, che ho l’impressione che il Pontefice si assuma non solo come papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma, ma anche da autorità dello Stato di Città del Vaticano. Cioè stimolare, correggere e richiamare a una politica migliore, a una sana interpretazione della responsabilità politica al servizio di tutti i cittadini. Qui Papa Francesco corregge la strumentalizzazione del populismo, attaccandolo espressamente proprio perché nega al populismo l’interesse dei popoli. Il Papa da cristiano si interessa dei popoli e da autorità attacca chi con il populismo vuole invece prendere in giro il popolo per sfruttarlo».

La pandemia ha messo in luce le disuguaglianze, pensiamo al tema delle migrazioni, a quelle “vite lacerate”, protagoniste in parte del secondo e dell’intero quarto capitolo dell’enciclica. Concorda con la riflessione del Santo Padre, il quale indica la fraternità come terapia per salvare questo mondo malato e che la crisi attuale è un’opportunità per costruire una società più giusta? 

«Sì, questa è un’altra maieutica di Papa Francesco, cioè quella da un lato di invitare a riconoscere i segni della crisi nelle degenerazioni, manipolazioni, strumentalizzazioni, perversioni e violenze, ma soprattutto nella decadenza etica. Dall’altro lato però il Papa invita a evitare di piangersi addosso, sottraendosi all’analisi critica. L’unica cosa da fare è reagire. La crisi è la conseguenza di una distruzione della fratellanza, che doveva esserci in origine, e il modo per uscire dalla crisi è ritrovare la fratellanza».  

“Fratelli tutti” si collega allo scorso 27 marzo, quando Papa Francesco ha presieduto uno storico momento di preghiera sul sagrato lucido di pioggia della Basilica di San Pietro con la piazza vuota ma seguito da milioni di telespettatori in tutto il mondo, sempre più minacciato dalla diffusione del Covid-19, giacché “… Su questa barca… ci siamo tutti”? (1) 

«Sì, siamo tutti sulla stessa barca, come è importante l’altra citazione di Bergoglio del 2014: “Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”. Dobbiamo quindi considerare che c’è una disgregazione di questi pezzettini della III Guerra Mondiale, che ci stanno distruggendo, ma non possiamo mettere tutti i pezzettini insieme o trovare nella guerra la soluzione per una supremazia. Bisogna invece stare uniti in una barca, perché soltanto stando uniti e ritrovando la fratellanza possiamo costruire dei ponti e ritrovare un’unità in un mondo invece che rischia di cadere a pezzi. È una necessità il fatto di essere fratelli e rimanere uniti, perché da soli non si può trovare alcuna soluzione». 

(1) “Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”.