Il galateo delle mascherine (di nuovo) obbligatorie. Un segno di fragilità e di gentilezza

C’è chi le ha trasformate in accessori di moda e chi le definisce, crudelmente, “museruole”: sono le amate-odiate “mascherine”, ora (di nuovo) obbligatorie anche all’aperto. “Ma prima del covid-19 esistevano? Chi le indossava?” Chiedono i più giovani, che ormai, comunque, si sono abituati a considerarle parte della loro vita quotidiana. 

Sono molte le trasformazioni che questi “dispositivi di sicurezza” – per ora unica arma efficace per rallentare la diffusione del coronavirus – hanno prodotto nella vita sociale: è più difficile, per esempio, riconoscere le persone per strada. Capita di essere osservati con insistenza da sconosciuti, in compenso è più facile rimediare alle gaffes (“non l’avevo proprio riconosciuta” oppure “mi sembrava davvero di conoscerla”).

Lo sguardo conta molto più di prima per valutare gli umori e le reazioni della gente, è più complesso misurare un’espressione. Ci si sente più solidali con chi ha problemi di udito, perché il tessuto attenua i suoni e impasta le parole, costringendo spesso ad alzare la voce per farsi sentire. Se nel periodo del lockdown c’era addirittura chi andava a fare la spesa con protezioni integrali simili a quelle adottate dal personale sanitario, durante l’estate anche i più prudenti hanno allentato un po’ la guardia: mascherine sotto il mento o sul braccio, appese all’orecchio, ripiegate in borsa, a volte, ahimè, dimenticate in macchina. Anche adesso che i numeri dei contagi risalgono non è raro vedere i ragazzi fuori da scuola abbassarle per farsi sentire dai compagni. Qualcun altro se le toglie per respirare meglio, oppure per fumare. Qualcuno trascura di coprire naso e bocca perfino sui mezzi pubblici, non si capisce perché.

Il massimo della maleducazione è diventato gettarle a terra (se appese all’orecchio o al braccio, però, possono cadere senza che il malcapitato proprietario se ne accorga), magari fuori dai supermercati. Qualche anno fa prendevamo in giro i pochi turisti giapponesi che le tenevano sul viso contro l’inquinamento, ora lo scenario è completamente cambiato. Il presidente del Consiglio Conte consiglia di indossarle anche in casa, per scongiurare la trasmissione della malattia all’interno delle famiglie. Qualcuno può considerarlo un paradosso: fino a qualche mese fa era un dovere civico essere riconoscibili ed evitare di coprirsi il viso. Ora, all’opposto, siamo obbligati a farlo. La sfida è considerarlo per quello che è, un gesto di cura, educazione e gentilezza. Un modo per proteggere gli altri e di immaginare un futuro “oltre” la pandemia, perché non ci siano nuove ferite da sanare oltre a quelle che già siamo impegnati a medicare, perché la porzione di normalità e di interazione sociale che siamo riusciti a riconquistare non vada perduta. Nel periodo più cupo dell’epidemia, che vorremmo ormai dimenticare, confezionare mascherine era diventato un veicolo di attenzione e di solidarietà. Sono anche un segno, sempre presente, della nostra fragilità: la pandemia ci ha fatto riscoprire che non siamo esseri invincibili, ma creature bisognose di protezione. Quante suggestioni possono nascondere pochi centimetri di tessuto.