Troppe serrande chiuse: la crisi lascia indietro i più fragili

Le serrande di negozi e uffici sono chiuse e non riaprono ormai da mesi. La scena si ripete spesso in molte strade. È solo un piccolo indicatore che mostra quanti sono colpiti duramente dalla crisi economica causata da quella sanitaria.
La grave situazione rende doveroso considerare quanti rimangono indietro. Sono molti e in questo momento è anche arduo conoscere misure di grandezza complessive. Sicuramente tra i più colpiti ci sono i commercianti, i lavoratori del micro-terziario, le collaboratrici familiari, quelli con contratti a tempo determinato e quelli che lavorano in consulenza. Tra queste figure professionali incontreremo tanti giovani e tante donne.
Come aiutarli diventa un interrogativo importante, perché la risposta dovrebbe guardare oltre la crisi attuale.
Giustamente sono state messe in campo misure per dare un sostegno ai cittadini e alle famiglie in difficoltà (come il reddito di emergenza che supporta quanti non possono usufruire delle misure già esistenti), ma singoli interventi di contrasto alla povertà, se non sono inseriti all’interno di un sistema che promuove lo sviluppo e riduce la vulnerabilità a medio-lungo termine, risulteranno inefficaci. Lo abbiamo verificato con il reddito di cittadinanza. La misura si proponeva un obiettivo ambizioso: sostenere le persone inattive, finché non trovassero un lavoro. Mancavano però dei presupposti: da un lato la consapevolezza che la povertà è multidimensionale, perché generalmente non ci sono solo disoccupati, ci sono anche persone vulnerabili che hanno bisogno di potenziare le loro capacità, ci sono persone fragili che prima devono avviare percorsi per ricostruire se stessi. A questo aspetto si è corso ai ripari creando un collegamento con i servizi sociali dei comuni (che però andrebbero poi potenziati). Dall’altro lato è stata “sottovalutata” la debolezza dei mercati del lavoro territoriale, che non era (e tanto meno lo è ora) in grado di assorbire l’offerta di lavoro. Ci sono state rare proposte di occupazione e quasi sempre provvisorie.
Per andare incontro alle persone che sono rimaste indietro, allora, occorre prevedere un piano complessivo che tenga presente la promozione dei singoli cittadini all’interno di un orizzonte in cui calare lo sviluppo di una comunità. Se non si creano opportunità di crescita per “lavori buoni e dignitosi”, che significa creativi, durevoli nel tempo, ricchi di know-how, ci saranno sempre più persone che rimarranno indietro.