Città Alta: il trittico di Padovanino della chiesa di Sant’Andrea in un docufilm

È tornato a casa sabato 26 settembre e sino a fine ottobre è in esposizione per mostrare a tutti il suo recuperato splendore. Dopo essere stato protagonista dell’edizione 2020 di Art2night, ora sarà al centro anche del docufilm che sarà pubblicato su youtube il 20 ottobre. Il trittico dedicato al martirio di sant’Andrea è un’opera di Padovanino, dipinta attorno al 1630 per il soffitto dell’antica chiesa di Sant’Andrea in Città Alta. Con l’edificazione della nuova chiesa a inizio ‘800, le tre tele erano finite prima in casa parrocchiale, poi in sagrestia, smembrate e deteriorate, sino a che il vicario parrocchiale don Giovanni Gusmini e il dottor Angelo Piazzoli della Fondazione Credito Bergamasco ne hanno pianificato e curato il restauro, iniziato nel novembre scorso.

Alessandro Varotari, in arte Padovanino, nacque a Padova intorno al 1588 ma si formò a Venezia, percorrendo le orme di Tiziano, le cui opere ammirò e copiò anche a Roma. La sua presenza a Bergamo è databile al 1631 per la sottoscrizione di un’opera di destinazione privata dedicata al soggetto mitologico della Morte di Procri. Qui egli dipinse anche il maestoso trittico raffigurante il martirio dell’apostolo Andrea. La scena si situa nella città greca di Patrasso, raffigurata nell’architettura classica della tela centrale, nel 60 d.C.. Mentre una serie di personaggi ignudi innalzano la croce, Nerone e altri rappresentanti del potere imperiale osservano la scena con sguardi colmi di odio, orgoglio e superbia. Al contrario, Andrea è già proiettato nella gloria del cielo che gli si apre. Il martirio è per lui una vittoria, celebrata dai simboli della corona e dell’alloro che fanno capolino anche nella tela centrale, recati da un angelo, oltre che nella tela di sinistra, popolata da angioletti pasciuti, chiaramente ispirati alla Festa degli amorini di Tiziano.

La resa di un’atmosfera serena e festosa, nonostante la presenza della morte, è completata dagli angeli musicanti rappresentati nella tela di destra, che procurano la colonna sonora della scena con organo, viola da gamba e arpa.

Desta interesse un particolare della scena: la croce cui viene legato Andrea non è quella che noi abitualmente associamo al suo nome, bensì quella tradizionale a bracci perpendicolari. La tradizione della croce a X infatti, pur risalendo agli inizi del secondo millennio, si affermò solo nel XVII secolo inoltrato (la vediamo, per esempio, nelle storie affrescate da Gian Battista Epis nell’abside della chiesa nuova nel 1868): la forma di questa croce riproduce la lettera iniziale del nome Christos nell’alfabeto greco e indica quindi la volontà dell’apostolo di legarsi anche nella morte al nome di Colui cui aveva dedicato la sua vita.

Queste tre tele stavano incastonate nel soffitto ligneo dell’antica chiesa di Sant’Andrea, risalente almeno alla fine dell’VIII secolo (del 785 la prima menzione in un documento di compravendita tra privati), orientata secondo l’asse Ovest-Est, come usuale nelle chiese antiche per il valore simbolico dell’Oriente.

La chiesa di Sant’Andrea divenne parrocchia nel 1591, mentre fu integralmente ricostruita nel corso del XIX secolo: l’arrivo di Napoleone portò alla soppressione della vicina parrocchia di San Michele al pozzo bianco, il cui territorio fu annesso a Sant’Andrea. Il nuovo edificio, di impostazione neoclassica, con tre navate, un’abside e una grande cupola, sorge su un progetto dell’architetto Crivelli del 1840. Cambia l’orientamento, per permettere alla facciata di esporsi su via Porta Dipinta.

Questo restauro si aggiunge alla lunga serie curata negli ultimi anni dalla Fondazione Credito Bergamasco, che ha permesso di ridare lustro al grande patrimonio iconografico della chiesa, che raccoglie opere provenienti dalla chiesa antica (oltre al Padovanino, anche le tre tele di Moretto, Cavagna e Previtali, ora nella navata destra, un tempo pale dell’altare maggiore e dei due laterali), dal vicino convento di Sant’Agostino (La gloria di san Nicola da Tolentino), da San Michele al Pozzo Bianco (L’assunzione della Vergine di Bassano). Si aggiungono quelle procurate dal collezionista, oltre che capo della fabbriceria della parrocchia, Gugliemo Lochis per completare la navata sinistra: le natività di Palma il Giovane e di Enea Salmeggia. Quest’ultima è attualmente in fase di restauro (sempre a cura della Fondazione Credito Bergamasco) e costituirà l’ultimo tassello di una storia fatta di generosità e passione che ha permesso di ridare lustro a uno dei tanti gioielli della città di Bergamo, dove l’arte e la fede si coniugano in uno scrigno di bellezza.