Intervista a Dacia Maraini – elezioni in America, ore adrenaliniche, Joe Biden vicino alla vittoria

Non era mai accaduto prima nella storia del Grande Paese. Gli Stati Uniti stanno vivendo ore adrenaliniche da quando lo scorso 3 novembre si sono chiusi i seggi chiamati ad eleggere il loro 46esimo Presidente.


Un voto cruciale non solo per l’America, segnato anche dalla drammatica corsa del Covid-19 negli States. Una lotta all’ultimo voto, Joe Biden sembra vicino alla vittoria, (occorre scrutinare anche le preferenze elettorali arrivate per posta), ma Trump non si arrende e preannuncia ricorsi.
Biden ha riconquistato parzialmente il muro blu della zona dei grandi laghi del Midwest con la vittoria in Wisconsin e in Michigan. Il destino delle elezioni presidenziali americane è appeso allo spoglio di alcuni Stati determinanti: Nevada, Georgia, North Carolina e Pennsylvania. Chi se li aggiudicherà sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca.
Donald Trump, presidente USA in carica, e Joe Biden, rivale democratico, due uomini completamente diversi, per stile e personalità. Il primo ha incentrato la campagna elettorale sulla visione di un futuro libero dal mefitico virus e a portata di mano, il secondo ha sintetizzato il tutto con una sola frase: ora si cambia.

Dacia Maraini, autrice di romanzi, racconti, opere teatrali, poesie, saggi e narrazioni autobiografiche tradotte in oltre venti Paesi, una delle scrittrici italiane più conosciute al mondo e editorialista del “Corriere della Sera” dal 1996, da noi intervistata, commenta la possibile vittoria del candidato democratico Joe Biden.


Signora Maraini, i sondaggi si sono rivelati ancora una volta sbagliati: la prevista “onda blu” democratica non c’è stata. Per quale motivo c’è una parte di elettorato americano che pur non dichiarando di votare Trump, finisce per votarlo, preferendolo ai democratici?


«Sono più di quindici anni che ogni inverno vado in America e faccio il giro di cinque università, invitata a discorrere con gli studenti sui miei libri, ma anche sulle grandi questioni del giorno. Per questo ho una certa conoscenza degli Stati Uniti, anche se concentrata sulle università. Le “American Colleges” sono molto bene organizzate, costano care, ma sono frequentate anche da tanti ragazzi poveri, che dispongono di borse di studio generose, purché naturalmente siano bravi e partecipino attivamente anche alla vita del campus. La mia impressione è che negli ultimi anni c’è stato un cambiamento profondo nella società americana. I grandi principi e i grandi valori su cui era basato il senso di identità della nazione sono andati in frantumi. La certezza di di essere un centro mondiale di democrazia e civiltà, che aveva accompagnato la bella vittoria contro i nazisti, si è persa in guerre sbagliate, scandali, e lotte intestine. La sinistra probabilmente non ha capito bene questo cambiamento, che invece Trump ha intuito istintivamente, da animale politico senza scrupoli e senza etica quale è. La pandemia certamente ha tirato fuori, come sempre succede nei momenti di crisi e di allarme sociale, i sentimenti più primordiali: ricerca di un colpevole, invenzioni di complotti inesistenti, sospetto, odio, insensibilità verso l’altro, e alla fine spunta la voglia di affidarsi a un capopopolo dalle promesse facili e grandiose. Su queste forze ha lavorato Trump, spinto dal suo egocentrismo, dalla sua avidità di potere, dal suo arcaico machismo, consapevole di possedere una buona capacità comunicativa».


L’universo liberal non ha saputo prevedere quello che stava succedendo, è mancato il dialogo con la parte avversa, facendo emergere netta l’immagine di due Americhe inconciliabili?


«Sì, è quello di cui parlavo nella prima risposta. Le due America ci sono sempre state, ma la tolleranza, l’educazione, la cultura, il buon senso, una certa lealtà da campo sportivo, avevano permesso una convivenza possibile. Ora, sotto la guida di un uomo divisivo e collerico come Trump, le cose sono peggiorate. La gente si sente incoraggiata alla disgregazione, allo scontro, alla denigrazione dell’avversario, al cinismo delle strategie sociali».


Un appello all’unità e alla speranza dello sfidante Joe Biden completamente diverso da quello di Donald Trump, quando alle 2,30 ancora in piena notte elettorale si era autoproclamato vincitore, con un discorso trionfante nella East Wing della Casa Bianca, davanti a un’audience di fedelissimi. Che cosa ne pensa?


«Non c’è dubbio che Biden abbia uno stile diverso, basato sul rispetto dell’avversario e sulla lealtà del gioco democratico. Sono sicura che se vincesse Trump, gli stringerebbe la mano facendo gli auguri, come ci si comporta fra persone civili e come insegna la lealtà sportiva. Invece purtroppo le minacce di Trump ci fanno capire che da perdente, farà fuoco e fiamme gridando che ci sono stati imbrogli e così offendendo tutti gli americani che non hanno votato per lui».


“Donald Trump wins presidency”. Quattro anni fa il tycoon, dopo aver ottenuto la vittoria per la Casa Bianca a sorpresa, smentendo i sondaggi che lo davano sfavorito nei confronti della sfidante democratica Hillary Clinton, aveva promesso che avrebbe cambiato l’America. Promessa mantenuta?


«Direi proprio di sì, ha cambiato l’America, ma in peggio. Sia all’interno, favorendo le grandi fabbriche di armi, cercando di demolire l’Obama care che aiutava l’accesso alla sanità dei più poveri, sia all’estero, cercando di dividere e indebolire l’Europa, favorendo i grandi dittatori, cancellando la importante intesa sull’abolizione delle armi nucleari. Per non parlare nella sua insistenza nel negare i problemi dei cambiamenti del clima».


Il vincitore si dovrà occupare di un Paese in ginocchio, l’economia degli Stati Uniti si è fortemente indebolita a causa del coronavirus, mentre sulle strade divampano le proteste antirazziali iniziate dopo l’uccisione dell’afroamericano George Floyd. Un compito difficile attende Biden in caso di vittoria?


«Certo Biden si troverà davanti un paese diviso, incattivito e stanco, che gli creerà molti problemi. Ma per lo meno non insisterà sulla politica divisiva e aggressiva del suo predecessore».


Oggi più che mai dalle città alle montagne, dalle vaste praterie all’Oceano, il destino di un giovane americano sembra più incerto di uno degli Anni Sessanta quando era presidente degli States John Fitzgerald Kennedy?


«La globalizzazione ha tolto agli Stati Uniti quell’aria privilegiata di nazione forte e fattiva, forte e felice, forte e dinamica, forte e creativa, forte e democratica. Questo ha creato paure nuove e nuove esplosioni di irrazionalità».


Secondo Lei, quando potremo avere il piacere e la soddisfazione di vedere una donna alla Casa Bianca non nel ruolo di First Lady?


«Tutta la questione Clinton ci ha fatto capire quanto l’America sia ancora patriarcale nel profondo e come sia restia ad accettare una donna come capo della nazione. La globalizzazione ha confuso le carte, ha creato nuovi valori, nuove esigenze e nuove realtà che hanno scombussolato le vecchie certezze. Una per tutte l’idea di famiglia e della divisione dei ruoli. Il mondo cambia e si riassesta ma spesso gli assestamenti sono come dei terremoti che scombussolano i paesaggi, creano allarme e anche danni e gravi. Negare i cambiamenti può essere l’atteggiamento istintivo di chi ha paura e non sa ragionare. Ma i cambiamenti non si possono fermare, si possono solo affrontare, regolare secondo ragione e utilizzarne per cavarne il meglio. Lamentarsi, insultare, odiare, rifiutare l’altro e le novità, non può che portare, a lungo andare, verso disastri e guerre».

  1. Stimo profondamente Dacia Maraini ed il suo vissuto come persona, ma tutti noi dovremmo cominciare a guardare con occhi diversi ciò che sta succedendo nel mondo e quindi comprendere cosa è successo anche in Italia che ha dato esempi poco edificabili anche agli americani in fatto di ingovernabilità! Biden è come un nostro vecchio “democristiano” e come tale, caratterialmente portato al compromesso pur di mantenere un “potere” galleggiando, ma senza troppi scossoni! Il mondo però ha visto cambiamenti epocali che richiedono scelte immediate e per certi versi “rivoluzionarie”, cosa che per difetto delle grandi democrazie, sono impossibili da ottenere senza una cultura di base che le possa sorreggere! E’ la pancia che sta ragionando e che governa tutte le scelte basate sul momento storico in cui si vive! Questo momento storico esige immediatezza e spudorate prese di posizioni che la lentezza dei nostri principi democratici invece rallentano, e da qui, l’arrivo di “personaggi” dall’arroganza distruttiva quali strumenti per un cambiamento radicale il cui fenomeno è quello di dire e di fare ciò che la gente vuole e che è frutto di pressioni psicologiche a cui tutti siamo sottoposti ogni giorno! egoisticamente votiamo chi può dare maggiori garanzie di soddisfazione ai nostri bisogni che il Covid, come un boomerang, ci spinge ad ottenere qualsiasi soluzione di sopravvivenza, ma che i “personaggi” in questione ne sono solo lo strumento con visoni diverse del “come”. Rimane però quella grandissima incertezza delle conseguenze catastrofiche che l’economia mondiale ha prodotto e che difficilmente potranno essere superate se non prese con soluzioni condivise e a livello globale, cosa che la Cina di certo, ora, non potrà permettere! Tutto il resto è demagogia e folclore al ribasso!

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