Qui Nairobi: essere “Fratelli tutti” è l’unico modo per combattere fame, pandemia e diseguaglianze

Papa Francesco a Nairobi nel 2015. Foto Osservatore Romano - Sir

Il Dottor Gianfranco Morino, nato ad Acqui Terme in provincia di Alessandra nel 1958, ha frequentato il liceo classico, poi ha conseguito la laurea in medicina a Pavia e la specialità in chirurgia a Genova, e da tanti anni vive e lavora in Africa Orientale. 

È uno dei fondatori di World Friends (www.world-friends.it/it/), organizzazione non governativa che ha progetti di sviluppo nelle periferie di Nairobi e un ospedale dove vengono curati i più poveri, che vivono nelle baraccopoli ai margini della società. Proprio perché ogni giorno il chirurgo con il suo lavoro presso il Ruaraka Uhai Neema Hospital di Nairobi, mette in pratica ciò che Papa Francesco ha scritto nella nuova Enciclica “Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale”, abbiamo chiesto al medico di commentare alcuni passi salienti del documento, vero e proprio compendio del pensiero sociale di Bergoglio.

Papa Francesco nell’Enciclica cita l’esempio del Buon Samaritano sottolineando che, in una società malata, che volta le spalle al dolore ed è “analfabeta” nella cura dei deboli e dei fragili, tutti siamo chiamati a farci prossimi all’altro superando pregiudizi, interessi personali, barriere storiche o culturali. Durante l’esercizio della Sua professione si è sentito come il Buon Samaritano?

«No, solamente un medico. Ma curare non basta, bisogna prendersi cura. La cura non nasce né si ferma in ospedale, ma è necessario conoscere da dove vengono i pazienti, dove vivono, la loro povertà, il loro dolore. Il lavoro deve iniziare sul territorio, con educazione sanitaria e prevenzione, programmi sociali e di nutrizione. Altrimenti un ospedale sconnesso dalla comunità rimarrebbe una cattedrale nel deserto. I giovani medici dovrebbero imparare non solo a essere dei tecnici ultraspecialisti ma  anche dei promotori dei diritti umani, tra cui il diritto alla salute in primis».

Bergoglio interpella anche la coscienza dei credenti e non, offrendo a tutti gli abitanti del Pianeta un messaggio chiaro ed efficace: siamo “Fratelli tutti”. La fraternità, una via semplice ed essenziale per un’umanità che, soprattutto dopo la pandemia, si è trovata spaesata? 

«Il virus non rispetta i confini, va oltre qualsiasi muro. E la fraternità, intesa come compassione, che è ”sentire insieme”, dovrebbe combattere il virus nello stesso modo, abbattere muri e barriere. Le solitudini del lockdown, le nuove povertà, il dramma dei contagiati e dei morti, dovrebbero farci capire quanto sia fondamentale per l’umanità lavorare insieme per un bene comune. Quanto sia importante il valore della Sanità pubblica e della Salute come diritto».

Per Bergoglio una società fraterna promuove l’educazione al dialogo per sconfiggere “il virus dell’individualismo radicale” e gli strumenti per realizzare questo tipo di società sono la benevolenza verso il prossimo e la solidarietà, che si esprime nel servizio alle persone e non alle ideologie, lottando contro povertà e disuguaglianze. È questa la vera sfida del Papa? 

«Vivo con la mia famiglia e lavoro da tanti anni a Nairobi, una delle città più diseguali al mondo. È una metropoli dell’“apartheid” non basato sul colore della pelle ma sulla sperequazione sociale ed economica. Ricchezze smisurate di pochi in un mare di profonda povertà. Sono le periferie, che diventano modello dell’aumento delle diseguaglianze e dell’ingiustizia sociale in tutto il mondo, che va di pari passo con il degrado morale della politica e dell’economia, intesa solo più come finanza di banditi. Anche in questa lettera il Papa conferma con San Francesco che la fede nasce dalla coerenza delle opere, dalla ricerca della pace, quella vera, che è raggiunta solo con l’impegno dei “fratelli e delle sorelle” a lavorare per la giustizia, per la ridistribuzione delle ricchezze, la ricerca del dialogo, la salvaguardia del pianeta».

Papa Francesco sostiene nell’Enciclica che occorre combattere la cultura dello scarto. Concorda? 

«Neoliberismo e consumismo ci hanno portato alla subcultura dell’usa e getta, che riguarda non solo gli oggetti ma anche gli esseri umani confinati sempre più nelle periferie, non solo strutturali ma soprattutto periferie esistenziali. Non distante dal nostro ospedale alla periferia nord est di Nairobi, sorge la più grande discarica a cielo aperto della megalopoli. Tra i rifiuti vivono alcune migliaia di persone, raccoglitori fin dal primo mattino. La discarica è circondata da grandi slum di baracche, dove abitano circa un milione di persone. Tentano di sopravvivere ogni giorno, invisibili per il governo e per la società dei privilegiati. In questi paesi non esiste uno stato sociale e le chiese sono più impegnate nei riti e nel devozionismo, che nella ricerca della giustizia. “Nella giustizia, Signore, contemplerò il tuo volto” questa è la via maestra. Bergoglio partendo proprio da San Francesco indica la strada dell’impegno quotidiano, perché nessuno sia escluso da una vita degna di essere vissuta. Alla base del rinnovamento, non solo della Chiesa ma di tutta l’umanità, il Papa fin dall’inizio ha posto il primato della coscienza, che riguarda tutti, credenti e non credenti». 

Il Santo Padre scrive anche che lOnu deve promuovere la forza del diritto sul diritto della forza, favorendo accordi multilaterali, che tutelino al meglio anche gli Stati più deboli. Che cosa ne pensa?

«Non ho la stessa fiducia del Papa nell’ONU. Prima di pensare a una sua azione realmente efficace, andrebbe riformato. Purtroppo è dominato da pochi stati, fautori di politiche di dominio e di potenza non certo rispettose dei diritti umani».  

Qual è attualmente la situazione sanitaria in Kenya e quali sono state le conseguenze principali del coronavirus in una zona già oppressa da fragilità economiche, sociali e ambientali? 

«Purtroppo i dati epidemiologici sono inaffidabili, troppo pochi tamponi vengono effettuati e non si riesce ad avere un quadro reale della situazione. Secondo fonti governative ci sono circa 40mila positivi, con meno di mille decessi. Ma anche prima del Covid-19, non si è mai saputo di che cosa morisse la gente, soprattutto i più poveri, sia nelle baraccopoli sia nei villaggi rurali. Per cui non è facile avere un quadro reale della situazione. Tuttavia l’impatto clinico, almeno per ora, è minore che in altri continenti. Mentre quello socio-economico è devastante. Aumento esponenziale della malnutrizione e della fame vera e propria, centinaia di migliaia di persone senza lavoro in un paese dove il “Welfare State” è assente e non esistono ammortizzatori sociali, scuole chiuse e milioni di ragazzi a casa e sulla strada con nessuna possibilità di insegnamento online, brutalità di polizia e militari durante il coprifuoco, incremento della violenza di genere, degli abusi e delle gravidanze tra le teenager. Proprio in questi giorni anche qui temiamo una seconda ondata, con la gente ormai alla fame. Stiamo cercando di rafforzare i nostri programmi contro la malnutrizione e continuare con i vari servizi sul territorio e in ospedale, per garantire il diritto alla salute a tutti».