Quello strano “politichese”

Sul linguaggio della politica

(Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

Ascolto il linguaggio della politica, restandone talvolta perplesso. Chiarisco subito: non intendo qui discutere le decisioni che si sono rese necessarie in questo tempo di pandemia, soprattutto quelle inerenti i giorni delle festività natalizie. È evidente che chi governa si trova a gestire una situazione che mai si era presentata, nemmeno in tempo di guerra, perché, come saggiamente in diversi hanno notato, in guerra si ha almeno la possibilità di vedere il nemico e di studiarne le mosse, cosa impossibile da farsi con un nemico invisibile qual è un virus.  

Pertanto, la mia gratitudine va a coloro che si assumono la responsabilità di decidere per il bene di tutti in questo tempo; giuste o sbagliate, discutibili o meno, si sono prese decisioni e ci si è giocati la faccia nel farlo. Questo, io lo apprezzo, nella vita di ognuno, nelle nostre comunità, nella politica e nella Chiesa.

Il linguaggio “profetico” della politica

Quello che mi lascia perplesso è, invece, il linguaggio che spesso la politica adotta, che sembra quasi atteggiarsi a “profetico”, come se fosse nelle possibilità della politica prevedere ciò che avverrà e avere la certezza che le cose si realizzeranno esattamente come nelle previsioni di chi si pronuncia. 

Mi spiego meglio con un esempio. Il governo, in questi mesi, ha messo in atto l’unica possibilità esistente per contrastare la diffusione del virus: ha emanato decreti atti a far sì che le persone si incontrassero il meno possibile. È la regola del “nessuno incontri nessuno” o “qualcuno incontri qualcuno”, come saggiamente l’ha riassunta il dott. Luca Lorini, direttore della terapia intensiva e medicina d’urgenza dell’ospedale “Giovanni XXIII” di Bergamo e nativo della comunità di Grumello, dove svolgo il mio ministero sacerdotale.

il dott. Luca Lorini

Non c’era altra strada per limitare la diffusione del contagio: su questo, il governo ha fatto ciò che doveva fare. Tuttavia, si è più volte sentita questa espressione: “dobbiamo fare il sacrificio ora, per salvare…”. Come recita una vignetta, evidentemente polemica, in circolazione in questi giorni, “a marzo si doveva portare pazienza per salvare l’estate, a ottobre per salvare il Natale.. adesso per salvare gennaio e febbraio…”. Ora, evitando la sterilità di questa polemica, che non riconosce la difficoltà di decidere in questo tempo, credo si possano però notare delle criticità nel linguaggio.

Il risentimento della gente e la necessità di parlare chiaro

È evidente che se io a ottobre affermo che con l’impegno di tutti sarà possibile vivere il Natale senza restrizioni, genero speranze nella gente; quando poi, certamente non per colpa dei politici, ma per via dell’andamento dei contagi, quanto promesso non si verifica e si è costretti a chiudere ancora, è chiaro che prende piede il risentimento della gente. Mi sembra di cogliere, talvolta, una sorta di eccessiva percezione di onnipotenza della politica, che pensa di prevedere tutto, fin nei dettagli. Ma non è così. Il virus fa ciò che vuole e non risponde ai nostri programmi.

Qualcuno, leggendo, starà pensando: “Va bene don Alberto, quindi? Cosa faresti tu?”. Domanda legittima, alla quale rispondo così: parlerei chiaro! Ad esempio, direi così: “L’unica certezza che abbiamo è che, finchè non ci sarà il vaccino e questo sarà stato somministrato alla maggior parte della popolazione, non saremo fuori da questa situazione; pertanto, l’alternanza di periodi di chiusura e di apertura, così come di limitazioni alla circolazione, sarà necessaria per contenere i contagi. Sulla base dell’andamento dell’epidemia, dovremo proseguire in questo modo e con queste decisioni: non è possibile fissare una data, purtroppo. Il sacrificio di tutti sarà necessario fino al raggiungimento di un certo numero di immunizzazioni mediante campagna vaccinale”. 

La pandemia ha messo in luce
il linguaggio spesso non adeguato della politica

Ecco, questa comunicazione, semplice e chiara, non illude e rende chiaramente l’idea della situazione e di ciò che essa rende necessario. A livello personale, io rispondo semplicemente “non lo so” a chi mi chiede della riapertura degli oratori, della prossima estate, del CRE e dei campi scuola. Chiaramente spero tutte queste esperienze, a partire dalla riapertura degli oratori alla libera aggregazione dei ragazzi, siano presto possibili, ma non azzardo ipotesi. Nell’incertezza, meglio la risposta semplice di chi, come tutti, cerca di fare le scelte migliori per il bene comune, senza promettere nulla, perché nessuno sa cosa accadrà nei mesi a venire.