Un copriletto ultracentenario: negli oggetti di casa storie di famiglia in tempo di guerra

I miei genitori giunsero in Valle Brembana dal Trentino subito dopo l’ultima guerra, appena sposati. Qui hanno poi sempre vissuto, pur tornando ogni anno al paese d’origine. Di conseguenza il mio rapporto con i nonni è stato solo occasionale e questo è uno dei rimpianti della mia vita.

Un giorno, verso i vent’anni, in un’estate calda e assolata, mi trovavo nella casa trentina e la nonna materna mi disse: “È giunto il momento di farti un regalo, sono sicura che l’apprezzerai e lo conserverai”. Era un copriletto bianco, confezionato da lei ad uncinetto negli anni della prima guerra mondiale. Sul momento non considerai molto il valore del regalo e nemmeno mia madre ebbe una particolare reazione, forse per via dei ricordi che vi erano collegati.

Così il copriletto andò a finire nell’ultimo cassetto del comò.

Ma con gli anni le cose sono cambiate.

Un giorno l’ho tirato fuori dal cassetto e l’ho steso sul mio letto: era intatto, mi è parso bellissimo e prezioso; non avevo mai notato che sul bordo a filet c’erano le iniziali del nome della nonna: Giuseppina Loss.

L’ho rinfrescato e riposto in una bella scatola colorata e da allora ogni tanto lo osservo e penso alla sua lunga storia.

La nonna Giuseppina, che abitava con la famiglia nel Primiero-Vanoi, precisamente a Caoria di Canal San Bovo, allora sotto il governo austroungarico, dovette abbandonare il paese subito dopo l’ingresso in guerra dell’Italia. Nell’estate del 1915 l’esercito italiano occupò quella zona e dispose l’evacuazione di tutti gli abitanti, trasferendoli in varie località della penisola (Montevarchi, Cervo Ligure, Isernia, Puglia e Sicilia). In quei frangenti convulsi accadde che molte famiglie trentine furono divise, poiché le persone che si trovavano sui masi, impegnate nella fienagione, furono a loro volta sfollate dall’esercito austriaco, che presidiava ancora quelle zone, e inviati nei campi profughi d’oltralpe, in particolare a Mittendorf.

La situazione durò fino al termine della guerra e molti profughi non fecero ritorno a casa.

La nonna, che aveva 29 anni ed era vedova con due bambini, fu inviata a Montevarchi con tanti compaesani. Benché accolti con simpatia dagli italiani, la loro vita fu assai dura, a causa del distacco dai familiari, dell’estrema povertà, delle alte temperature, della diversità delle abitudini gastronomiche e delle frequenti epidemie.

Il ricordo più tangibile di questa dura esperienza è proprio il copriletto che la nonna confezionò pazientemente a Montevarchi per tutta la durata della guerra.

Tornati finalmente a casa, i profughi trovarono il paese abbandonato e distrutto dalle battaglie che erano divampate in quella zona ai piedi del monte Cauriol. L’unico segno di vita fu il gatto della sorella della nonna, che era sopravvissuto per tutto quel periodo. Ci vollero anni per tornare alla normalità e per abituarsi ai nuovi governanti italiani.

Quando penso a questa esperienza, apprezzo maggiormente il valore del copriletto, non solo per la bellezza artistica, ma anche per la lunga storia che l’ha accompagnato.