Giornata della memoria, le storie dei deportati politici di Bergamo nei Podcast ANEDdoti

«Non possiamo dimenticare che, accanto alla deportazione razziale verso le persone di origine ebraica, l’Italia conobbe anche una forte deportazione politica nei confronti di quanti si opposero al regime fascista e all’occupazione nazista, pagando la loro scelta a caro prezzo: nei lager sono finiti oltre 32 mila deportati politici italiani». Così Leonardo Zanchi, 24enne di San Pellegrino, in merito ad ANEDdoti, l’ultima iniziativa della sezione bergamasca dell’ANED (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti), di cui è vicepresidente: un podcast, disponibile su tutte le piattaforme streaming a partire dal 25 gennaio, nato dalla volontà di conservare la memoria delle deportazioni politiche. 
«Il progetto consiste in una serie di episodi dedicati alle storie di quanti hanno provato a cambiare il nostro Paese, mossi da sete di giustizia e desiderio di libertà – spiega Zanchi, nipote di Bonifacio Ravasio, deportato politico a Buchenwald -. Ad oggi, sono stati registrati quattro episodi: verranno pubblicati con cadenza quindicinale, a partire dal 25 gennaio, sulle principali piattaforme streaming, tra cui Spotify e Apple Music, nella speranza che anche i più giovani possano fruirne».


Al progetto hanno collaborato, oltre a Zanchi, diversi giovani bergamaschi, di età compresa tra i 24 e i 28 anni. «Con Andrea Giovarruscio di Clusone e Georgia Mariatti di Trezzano Rosa, abbiamo intervistato i figli dei deportati, iniziando nel 2019 a Milano, dove svolgevano il Servizio Civile presso la Casa della Memoria. Gaia Scanzi di San Pellegrino e Giulia Argenziano di Bergamo hanno curato, rispettivamente, social e logo del progetto. In ciascuna registrazione, oltre al figlio del deportato, che ricorda il proprio genitore, si sentiranno la voce di Andrea, che ricostruisce il contesto storico, e la mia di narratore».


La seconda puntata di ANEDdoti, tra l’altro, racconta la storia di Guido Valota, originario di Morengo Bariano, nella Bassa bergamasca, imprigionato presso la caserma Umberto I, oggi Montelungo, e deportato in Germania dalla stazione di Bergamo. «Valota viveva e lavorava a Sesto San Giovanni: nel marzo del 1944, partecipò agli scioperi che paralizzarono le fabbriche dell’hinterland milanese. Dopo l’arresto, venne rinchiuso, con altri operai, alla Montelungo: successivamente fu deportato nel lager di Mauthausen». Tra il marzo e l’aprile del 1944 sono state internate alla Montelungo 835 persone: furono deportate a Mauthausen con due convogli, partiti dal binario 1 della stazione di Bergamo, il 17 marzo e il 5 aprile di quell’anno.
«Quanto al ruolo di Bergamo e della Montelungo all’interno del sistema delle deportazioni naziste, siamo debitori del lavoro di ricerca del figlio di Guido Valota, Giuseppe, per tutti Peppino, 82 anni, presidente della sezione ANED di Sesto San Giovanni – Monza. In lui si fondono i ruoli di figlio e ricercatore: sulle tracce del padre, morto nel 1945, ha ricostruito il destino dei deportati di Sesto San Giovanni transitati da Bergamo, riscoprendo il ruolo della Montelungo».


Il suo lavoro ha prodotto due libri: il secondo – “Dalla fabbrica al lager” – «ha dato voce, forse per la prima volta, ai familiari e soprattutto alle donne che per tutta la vita hanno dovuto fare i conti con l’assenza dei propri uomini deportati». Nel gennaio del 2019 era andato in scena a Bergamo lo spettacolo “Matilde e il tram di San Vittore” (regia di Renato Sarti), sulla base dalle testimonianze raccolte da Giuseppe Valota. Lo spettacolo metteva in luce la scelta di quanti si opposero al nazi-fascismo, pagando questa presa di posizione a caro prezzo. «La voce narrante era quella delle donne, private dei loro cari, incarcerati presso la Montelungo. Il ruolo dei figli e delle figlie che non si sono arresi all’essere orfani, ma hanno fatto ricerca, interrogando documenti e testimoni, per conoscere i loro cari che subirono la deportazione rappresenta proprio il centro del podcast ANEDdoti. Un progetto che permette di conoscere e riflettere sulla memoria delle deportazioni. Anche in questo periodo di distanziamento sociale».