Luigi Barcella di Ranica a diciotto anni si oppose ai fascisti e morì in un lager

la scheda del prigioniero con i suoi dati e la matricola 57546, rinvenuta tramite gli Arolsen Archives sulla deportazione; Luigi a 18 anni.

Una storia di deportazione politica, «chiusa per anni nel cassetto della memoria». E riportata alla luce dall’impegno di Marina Zanga, nipote di Luigi Barcella, ranichese morto a Ebensee, sottocampo di Mauthausen. «Per la nostra famiglia è sempre stata una storia dolorosa: di lui si conservavano solo delle lettere che era riuscito a far uscire dal carcere di San Vittore, nel periodo successivo al suo arresto – racconta Marina Zanga, 57 anni, bergamasca e socia dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti) -. Le ho trascritte quando avevo vent’anni perché sentivo la necessità di sottrarle all’oblio e al deperimento». A questo bisogno personale, si è poi aggiunta, nel 2019, la volontà del comune di Ranica di fare ricerca, «interrogando fonti e documenti per ricostruire una storia di rilevanza locale e non solo famigliare». 
Luigi Barcella nasce a Trescore Balneario nel 1925, primo di cinque figli in una famiglia modesta. «Suo padre aveva avuto alcuni screzi con i fascisti del luogo, tanto da perdere il lavoro perché non iscritto al partito: così, nel 1929, la famiglia decide di trasferirsi a Ranica. Luigi era un ragazzo curioso e intellettualmente vivace: amava lo studio e si era diplomato presso una scuola di disegno tecnico. Il suo progetto per il futuro sarebbe stato quello di emigrare, al termine della guerra, in Argentina».
Luigi aiuta la famiglia lavorando come disegnatore: prima alle fonderie Dalmine, poi alla Rumi. Ed è in fabbrica, alla Dalmine, che entra in contatto con alcune cellule antifasciste. Si iscrive al Partito comunista, «fatto che abbiamo scoperto grazie ad un documento d’epoca della sezione di Bergamo». E inizia a fare la staffetta. «Un compagno ranichese ritirava la stampa clandestina a Bergamo, nel retrobottega di un tabaccaio. E a Ranica la smistava, consegnando a mio zio copie dell’Unità o altri materiali di propaganda da distribuire nel Bresciano». 

Estratto della Croce Rossa Internazionale che attesta la morte di Luigi Barcella

La sera del 9 novembre del 1943, Luigi è per le strade di Ranica, pronto per una staffetta, dopo lo scoccare del coprifuoco. «Viene intercettato da una ronda nazista ed arrestato, assieme ad un cugino che era con lui. Lo portano nel carcere di Sant’Agata e poi, il 12 novembre, a San Vittore, dove rimane fino a marzo del ’44. Viene interrogato più volte, ma non confessa i nomi dei suoi compagni di resistenza. Durante il primo mese di detenzione, riesce a far uscire dal carcere, nascoste nei panni sporchi, ben sei lettere. Racconta ai genitori della vita in prigione, parla della propria fede ed esprime il suo rammarico per il dolore arrecato alla famiglia: sono pagine toccanti, uno spaccato del suo vissuto a San Vittore». 
L’ultima lettera risale all’8 dicembre del 1943: dopo la scoperta di alcuni biglietti, i tedeschi vietano ogni contatto con i famigliari. Il silenzio si protrae fino al 4 marzo del 1944, quando «dal camion con cui lo stavano trasportando alla stazione di Milano, riesce a lanciare un biglietto, indirizzato ai genitori e successivamente recapitato, da mani ignote, a Ranica. “Cara mamma, parto per la Germania. Non piangere, insegna ai miei fratelli ad amare la Patria”, c’era scritto. È un invito alla riflessione sulla storia di Luigi, che, pur prossimo alla deportazione, si raccomanda che i fratelli imparino ad amare la patria. Sono parole valide tutt’oggi, perdipiù scritte da un ragazzo di soli 18 anni». 
Luigi viene deportato con il trasporto 33, partito il 4 marzo dal binario 21 della stazione Centrale di Milano. «Su quel convoglio c’erano 100 prigionieri: 48 politici e 52 operai scioperanti». La destinazione è il lager di Mauthausen (oggi in Austria), dove Luigi passa un periodo di quarantena. «Da quel momento non è più un essere umano. È un numero: la matricola 57546, riportata sulla giubba a strisce, accanto al triangolo rosso che contraddistingueva i detenuti politici». Il 9 aprile, giorno di Pasqua, Luigi viene trasferito nel sottocampo di Ebensee, «destinato al lavoro forzato come manovale per il progetto Zement: scavava gallerie per la produzione bellica di missili. Le condizioni erano durissime, lo sfruttamento intensivo: moltissimi prigionieri morivano di stenti».

Foto del biglietto lanciato dal convoglio che lo conduceva al binario 21, verso la deportazione.

Luigi sopravvive per oltre un anno. «Distrutto nel corpo e nello spirito, è morto il 22 aprile del 1945, poche settimane prima della liberazione di Ebensee, da parte degli americani, il 6 maggio. I nazisti avevano annotato sia l’orario della morte, occorsa alle 7:10 del mattino, sia la causa, attribuita alla tisi. Ma non c’è certezza. Non si sa nemmeno se sia stato cremato o gettato in una fossa comune».
La notizia della morte di Luigi arriva alla famiglia, «tramite un sopravvissuto», a maggio. «Il 2 settembre venne celebrata in paese una messa in sua memoria, e da quel momento il suo ricordo è rimasto vivo nelle preghiere della mia famiglia. Per anni se ne è parlato poco, era una pagina troppo dolorosa da rievocare».
Nel 2019 l’amministrazione comunale di Ranica si fa promotrice del conferimento della medaglia d’onore al compaesano Luigi Barcella, che viene consegnata il 27 gennaio 2020, nel Giorno della Memoria. «A Ranica gli verrà anche intitolato un parco pubblico. E lo stesso comune aveva organizzato, per il 2020, un viaggio commemorativo ad Ebensee, in cui era prevista la posa di una targa in sua memoria: è stato annullato causa Covid-19. In primavera, poi, uscirà un volume dedicato alla vicenda di mio zio, scritto da Gianpiero Crotti, appassionato studioso di storia locale».
Nel frattempo, Marina porta avanti la memoria di Luigi nelle scuole del territorio, in collaborazione con la sezione bergamasca dell’Aned. «Il deportato politico è tale perché ha compiuto una scelta, quella di opporsi ai regimi. Sono considerate storie minori, poco trattate, ma altrettanto significative. Oltre 32 mila italiani sono finiti nei lager, come deportati politici, perché hanno scelto di prendere le distanze dal nazi-fascismo. Le loro storie ci insegnano l’importanza di una presa di posizione in nome di certi ideali e sono attuali anche oggi. Proprio per questo non possono essere dimenticate».