La crisi politica: una classe dirigente sull’orlo dell’abisso

L’Italia è un Paese storto, dal quale non si potrà mai cavare qualcosa di diritto, come accade al famoso legno di Kant? Questo è l’interrogativo che esplode da sotto la crosta delle consultazioni, dei talk-show, degli editoriali, degli sfoghi sui social, relativi alla crisi politica in corso. 

La risposta prevalente è no, nulla di diritto! No, perché il Paese sta affondando. No, perché il Paese va alla deriva. No, perché sta sull’orlo dell’abisso… No, perché la società italiana è devastata. No, perché la politica è un malato terminale…

Il Paese sta attraversando da qualche decennio una crisi profonda, alla quale ultimamente il Covid-19 ha porto inaspettatamente uno specchio in cui riflettersi: è una crisi spirituale, una crisi di senso, quella di un Paese che non sa più la propria strada e il proprio destino. Se gli elettori hanno delegato ad una classe politica dirigente la missione di tracciare la rotta, questa classe appare incapace di individuarla. Di qui il senso di smarrimento e il ripiegamento nel rancore, nella rabbia, nello scetticismo, nel pessimismo, nell’assenza.

Che cosa sta accadendo? Perché la classe dirigente si sta suicidando?

Il virus mortale di questa classe politica, e dei mass-media al suo servizievole seguito, si chiama populismo. Non c’è virus che sia stato più microscopizzato di questo da una legione di sociologi, filosofi, psico-sociologi e psico-politologi. Il populismo del popolo è, ormai, ben conosciuto: democrazia diretta, no alla casta, giustizialismo, assistenzialismo, antiscientismo, no-vax, complottismo globale… Grazie ai nuovi mass-media,  il populismo è riuscito a condensarsi in movimento politico e in partito, infilandosi negli spazi, in linea di principio rifiutati, della democrazia rappresentativa. Il M5S oggi è il partito più rappresentato nel Parlamento italiano. Possiamo chiamarlo approssimativamente “populismo dal basso”. Se il suo destino partitico appare segnato, la sua cultura ha fatto egemonia nei piani alti della politica. Il populismo dal basso è diventato “populismo dall’alto”. E questo è assai più pericoloso per la democrazia.

Che il virus populistico abbia infettato l’intera sistema politico lo si deduce facilmente da una elementare analisi del linguaggio.

Prendete il lemma “Italiani”. Lanciato da Salvini con “Prima gli Italiani”, ad imitazione del già tramontato “America First”, “Italiani” è il vocabolo più ripetuto della neo-lingua politica. Infesta tutte le antifone recitate a velocità spaziale dai vari portavoce di partito nei TG: “Gli Italiani ci dicono, gli Italiani pensano, gli Italiani vogliono, gli Italiani sanno, gli Italiani decidono”… E, si intende, il portavoce di partito approfitta del momento per autoproclamarsi ipso facto “la voce degli Italiani”. Solo a destra questi squilli di tromba?

No, anche a sinistra! Alla fatale domanda rivolta al segretario del PD Zingaretti: “un nuovo governo Conte per fare che?!”, egli ha risposto candidamente: “L’agenda ce la danno gli Italiani!”. Già, proprio così! Ecco il populismo disvelato. L’agenda del che fare non è più la faticosa costruzione intellettuale di una classe dirigente, che si confronta con la verità del Paese, con i suoi interessi variegati e confliggenti, e propone all’intero Paese una scelta, una selezione, una sintesi. No, l’agenda arriva consegnata direttamente dagli… Italiani.

E’ una risposta paradigmatica, che fotografa, a sua insaputa, un intero modo di concepire la politica. Il populismo qui non è più una sindrome del popolo, è una cultura politica della classe dirigente.

Eppure ciò che realmente risulta, oggi, sono solo i desiderata settimanali degli Italiani, interpellati da agenzie di sondaggi. Non può arrivare niente altro, nessuna visione, nessuna soluzione.

Qui, si aprono due strade per i partiti: a) assemblare i bisogni e i desideri, metterli in bella copia, chiamarli programmi e ributtarli in piazza per vederseli, eventualmente, rimbalzare più gridati; b) filtrare  i bisogni e i desideri, in base a una tavola di valori, alla storia del Paese, alla sua collocazione internazionale, ai fondamentali dell’economia ecc… e farne un programma di governo per l’intero Paese. 

Nel primo caso, la politica si offre come followership; nel secondo caso come leadership.

Quasi tutti i partiti della Seconda Repubblica hanno scelto la strada della followership: “Vado dove mi porta il popolo!”. Della democrazia che è consenso+delega, hanno preso sul serio solo il primo, sono restii a esercitare la responsabilità della seconda. 

Donde viene questa degenerazione tumorale della democrazia? Qual è l’intreccio di pluricause strutturali e pluricause sovrastrutturali?

A costo di espormi all’accusa di idealismo metafisico estremo, credo che al fondo stia quel fenomeno che già nel 1943 Dietrich von Hildebrand definì  “la detronizzazione – die Entthronung – della verità”, ad opera dei totalitarismi del ‘900, che hanno lasciato tracce profonde nella concezione e nella pratica della politica, soprattutto in Italia. Ciò che conta, ai fini del consenso e dell’esercizio del governo e del potere, non è la realtà delle cose, non il principio di realtà, non il sapere, non la scienza; conta l’accensione dei sentimenti e dei risentimenti, delle emozioni e delle rabbie, quali basi del consenso e del potere. Solo che se il potere non è appoggiato alla realtà delle cose, se si fonda solo su di sé, diventa intimamente totalitario. Non si dà più oggettività, non si dà più etica pubblica. Se è evidente che ciascun partito costruisce un proprio filtro, dal quale esce una propria verità, il metodo di costruzione del filtro-programma deve muovere, in ogni caso, dalla realtà. Staccata dalla realtà, al punto che non è in grado dopo mesi di costruire il PNRR, in cui si condensa il futuro del Paese, la classe dirigente sta evaporando, si sta sciogliendo. E con essa il Paese. Esiste un vaccino antipopulista? Sì, che ciascuno, dovunque si trovi, si dedichi al “compito della verità”. Sarebbe il compito dei ”chierici”, se da tempo non si fossero acriticamente messi al servizio del potere.

  1. Non condivido il cupo pessimismo di Giovanni Cominelli.
    Mi convince, naturalmente, la sua appassionata denuncia del virus populista; e sono anch’io preoccupato della diffusione del contagio, in “alto” e in “basso”.
    Non riesco tuttavia a condividere il nero presagio di sventura che Cominelli ne trae. Non credo assolutamente che il Paese sia destinato ineluttabilmente a precipitare nell’abisso.
    Se mi guardo attorno, vedo parte non piccola della classe dirigente tutt’altro che vittima di pulsioni suicidiarie, ma dotata di senso di responsabilità, di coraggio e di visione.
    La vedo nelle istituzioni, a partire dall’impegno fermo e saggio del presidente Mattarella. La vedo anche nella politica, persino in questa difficile fase di crisi e di ricerca di un governo migliore per il Paese. La vedo diffusa nella società: nella cultura, nelle professioni, nei corpi intermedi, nel tessuto imprenditoriale e lavorativo. Poiché non ne conosco la vita e la realtà, non so dire della Chiesa, di cui credo che questa pubblicazione sia un’espressione.
    Non dimentichiamoci inoltre che, per nostra fortuna, la parte migliore della nostra classe dirigente è sempre più integrata con l’Europa migliore.
    No: non riesco a condividere il pessimismo di Cominelli.

    1. sig. Enrico, buongiorno! Nell’abisso ci siamo già da un pezzo, ma ancora non ne abbiamo raggiunto le profondità più recondite e, sta a vedersi, se riusciamo a risalire con le arrampicate sui vetri o invece si cominci a realizzare che il mondo fin qui “sfruttato” è morto e con esso tutte le nostre certezze! Anche nella Chiesa esistono , a mio parere, gli stessi interrogativi che la società tutta si sta ponendo: che futuro abbiamo se la speranza viene meno? Gli effetti psicologici di una crisi profonda sulle essenzialità della vita, li hanno anche gli uomini della Chiesa, perché, in quanto uomini, non possono ritenersi fuori dalle problematiche di un futuro incerto dagli stessi risvolti che vivono il popolo a loro affidato e che per certi versi si pone il dubbio dell’esistenza di quel Dio a cui tanto viene affidato il compiersi degli eventi! Io stessa, a volte, mi chiedo come sia possibile che gli “uomini” non riescano più a guardarsi negli occhi, non percependo più, ciò che l’altro vuole esprimere e le filosofie anche di Chiesa vanno in contrasto con le realtà della vita! Sono una “fedele” lettrice di questo sito sin dalla sua nascita e se qualcuno si va a rileggere i miei commenti, troverà un filo rosso tra ciò che oggi succede con ciò che già era in atto da molto tempo, e che non ero la sola a prevederne gli esiti, che oggi il Covid ci ha brutalmente messo in evidenza, sia a livello sociale che ecclesiale e, a livello globale! E allora cosa dobbiamo fare? certamente non continuare s pensare che nulla non si possa cambiare, ma è il come ed in che cosa che ci dovremmo porre delle domande e soprattutto quanto tempo ci vorrà affinché la fratellanza fra i popoli sia la nostra maggior ragione di vita e, forse, come dice Cominelli, i “chierici” hanno una gran parte di responsabilità nel gestirne le sorti! Ne sono consapevoli? non ne sono del tutto certa!

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