Adolescenti fragili, famiglie sotto stress. Ravera: “Dedicate più tempo alle relazioni”

La scritta “Questa casa non è una scuola” è apparsa su alcuni cartelli appesi a finestre e balconi di due scuole medie a Milano, simbolo del disagio degli studenti che dopo un anno di scuola “a singhiozzo”, causa emergenza da pandemia, hanno il legittimo desiderio di tornare dentro le aule scolastiche con lezioni quotidiane in presenza e non più a distanza.

Lo psichiatra e psicoterapeuta Furio Ravera indagando quel periodo molto delicato che riguarda i giovani, nel quale possono avvenire apprendimenti distorti rispetto al modo di affrontare le cose, la gestione delle emozioni, i rapporti con gli altri, offre una guida ai genitori nel saggio“Anime adolescenti. Quando qualcosa non va nei nostri figli. Come accorgersene e cosa fare” (Salani 2021, pp. 208, 13,90 euro). Guida quanto mai utile in un momento particolarmente difficile come quello che stiamo vivendo, dove l’unica cosa certa è l’incertezza, dopo mesi di didattica a distanza a causa dell’emergenza Covid-19. 

Dell’attuale situazione scolastica e educativa abbiamo dialogato con Furio Ravera, nato a La Spezia, che ha compiuto gli studi universitari a Milano, dove vive ed esercita la sua professione, già cofondatore con Roberto Bertolli della Comunità terapeutica Crest e che dirige presso la casa di cura Le Betulle un reparto per la diagnosi e il trattamento dei disturbi della personalità e le tossicodipendenze. 

Prof  Ravera, nel saggio affronta i problemi più gravi ai quali possono andare incontro gli adolescenti, dalla tossicodipendenza all’alcolismo, dal bullismo al cyberbullismo, dai disturbi alimentari all’autolesionismo. Come capire se un figlio ha bisogno di aiuto e quali sono i comportamenti che devono mettere in allarme i genitori? 

«I comportamenti più appariscenti sono rappresentati da cambiamenti di comportamento improvvisi, tristezza, disinteresse generale o di rendimento se ci riferiamo, per esempio, al rendimento scolastico. Se notiamo un’improvvisa caduta del rendimento scolastico, se notiamo una tendenza al ritiro significativo, per esempio nella camera o notiamo un cambiamento delle compagnie e delle persone che il ragazzo frequenta. Un atteggiamento sfuggente nei confronti dei genitori fino ad arrivare a degli stati di sonnolenza, la tendenza a non andare a scuola, caratterizzata da grandi dormite durante la giornata. Penso soprattutto a questo lungo periodo di DAD (didattica a distanza), questo ultimo fenomeno può verificarsi più facilmente, non partecipare alle lezioni in rete. Questi ultimi esempi potrebbero essere segnali di uso di sostanze. Naturalmente ci sono altri segnali che riguardano, per esempio, l’autolesionismo, come il rinvenimento di goccioline di sangue nelle lenzuola o nella camicia, che spesso conduce nel poter notare qualche taglio sulle braccia. In questo caso i genitori devono tenere gli occhi bene aperti e cercare di avviare un dialogo pacifico con la loro figlia, in questo caso prevalentemente si tratta di femmine, per cercare di capire insieme cosa sta accadendo. Per quello che riguarda i disturbi dell’alimentazione possono essere rappresentati dall’avere una certa tendenza ad andare in bagno subito dopo i pasti principali, nonché trovare del cibo nascosto negli armadi. Per quanto riguarda il disturbo bulimico, trovare del cibo deteriorato, perché non è stato mangiato e fatto cadere dentro un tovagliolo per poi nasconderlo in casa. Tutti questi elencati sono i segni più eclatanti per cui fare attenzione». 

Autolesionismo e tendenza al suicidio tra gli adolescenti. Quali sono le dimensioni del problema in Italia? 

«Sono dimensioni molto alte. La suicidalità giovanile rappresenta la seconda causa di morte fra i giovani fino a 29 anni. Parliamo del 5% dei suicidi, sono circa 200 all’anno al di sotto dei 24 anni. Fra i 15 e i 29 anni rappresentano circa il 15%. Le cause sono molto complesse, non sono riducibili a un fattore unico. Se parliamo di autolesionismo che è un po’ diverso dal suicidio, anche perché taluni pazienti dichiarano che l’autolesionismo è il loro modo per non suicidarsi, perché mentre noi lo viviamo come un vulnus, una ferita incomprensibile, le spiegazioni che danno questi ragazzi è che l’autolesionismo consente loro di bloccare, anche momentaneamente, uno stato di tensione interna che risulta loro intollerabile. Stato di tensione interna che potrebbe portare al suicidio se uno non trova proprio nessun modo per porvi rimedio. Talvolta questo autolesionismo cela abusi e violenze subite durante l’infanzia. I dati riguardano la violenza assistita, l’aver testimoniato ed essere stati presenti a liti violente fra i genitori, in cui c’è stata la violenza fisica. Quindi l’aver assistito ad episodi di violenza domestica. Aver subito violenza ed abusi fisici. Questo è ciò che troviamo alla base di comportamenti di autolesionismo. Questo però non deve essere generalizzato, perché talvolta ci sono casi in cui non troviamo assolutamente in episodi di autolesionismo, una storia di violenze o di abusi. Spesso troviamo la mania del perfezionismo, che taluni ragazzi e ragazze si impongono e che talvolta può produrre stati di tensione tale che per esempio vengono “calmati” con i tagli». 

Gli studenti protestano, invocando il sacrosanto diritto allo studio nelle aule scolastiche chiedendo il rientro in sicurezza. A quali rischi vanno incontro oggi i giovani, soprattutto ora che la scuola non è più il timone della loro vita? 

«La scuola non è solo apprendimento di studi, ma è anche apprendimento di valori, di risorse e di modalità con le quali fare i conti con l’autorevolezza dell’insegnante. La scuola è la prima occasione che hanno i ragazzi per entrare in contatto con un meccanismo sociale organizzato, con delle regole e con delle leggi. Se viene a mancare tutto questo non può essere facilmente surrogata con la didattica a distanza che è stata organizzata in maniera frettolosa. Non c’è stato uno studio di progetto per cercare di capire quale potesse essere il modo migliore per fare la DAD. I ragazzi si stancano molto stando davanti allo schermo del PC. È modificato lo stile del rapporto con l’insegnante, mancano tutte quelle dinamiche che avvengono durante una lezione classica in presenza, manca una ricreazione, manca il rapporto tra gli studenti, infatti degli anni del liceo ci ricordiamo per tutta la vita, perché è stato un momento estremamente intenso di socializzazione e di eventi. Il fatto che venga a mancare tutto questo potrà avere delle conseguenze, che in questo momento non sono misurabili, ma che dovremo osservare per poter intervenire su eventuali conseguenze. Sicuramente i ragazzi sono depressi, manca il “sano divertimento” che non è un lusso, ma che si integra con i compiti formativi dell’adolescente. Dover rinunciare a sciare, a una partita di pallone, rinunciare ad andare in discoteca, sono tutte cose che mettono in atto delle risorse relazionali che ora sono assopite, tenute a freno. Questo è anche la causa di scoppi di violenza sia in famiglia sia all’esterno, come quelle risse curiose che si sono viste in alcune città italiane». 

Occorre non perdere la routine e quella disciplina che solo l’andare a scuola può fornire. In quest’Italia ferita e da ricostruire quando tutto sarà passato, i genitori come possono aiutare i loro figli? 

«I genitori devono iniziare adesso, anche le vite familiari sono alterate. Se non si è perso il lavoro, c’è lo smart working, il lavoro a distanza, che fa sì che entrambi i genitori, siano, uno in una stanza e l’altro in un’altra stanza della casa. Anche il fruire dell’ambiente domestico subisce uno scossone, ciò provoca uno stress in questo tipo di lavoro, che in alcuni casi, proprio perché viene fatto in casa, può provocare dei prolungamenti degli orari di lavoro anomali. Il lavoro e la scuola erano vissuti fuori casa, la casa era il rifugio, il luogo dove la famiglia si ricompone, dove la famiglia dovrebbe dialogare, incontrarsi e tutti i giorni celebrare il fatto del perché si vive insieme. Perché due persone si sono sposate e hanno deciso di mettere su famiglia e fare dei figli. Vale a dire dedicarsi alla relazione con i figli che adesso dovrebbe essere molto più incentivata proprio perché si sta vivendo una condizione di sofferenza, al fine di prepararsi, quando tutto questo finirà, con una risorsa che è fondamentale: quella delle buone relazioni familiari. Usare creatività e portare in casa un po’ di divertimento, di ilarità e di gioco». 

In una lunga intervista rilasciata lo scorso novembre al quotidiano “Repubblica”, Massimo Recalcati, sulle lamentele di genitori e studenti sul tema DAD, tra le altre cose ha detto: “Si tratta di una lezione nella lezione che i nostri figli dovrebbero fare propria, evitando di reiterare a loro volta la lamentazione dei loro genitori. Non ci sarà nessuna generazione Covid a meno che gli adulti e, soprattutto, gli educatori non insistano a pensarla e a nominarla, così lasciando ai nostri ragazzi il beneficio torbido della vittima: quello di lamentarsi, magari per una vita intera, per le occasioni che sono state ingiustamente sottratte loro”. Che cosa ne pensa? 

«Non sono d’accordo, perché io che vedo giovani pazienti tutti i giorni, osservo che i problemi ci sono, i danni ci sono, i ragazzi non sono affatto lamentosi, ciò è dimostrato dal fatto che hanno occupato i licei. Occorrerebbe più creatività e più flessibilità, stare davanti a uno schermo è un disagio, non è una lezione nella lezione. Qui si va male a scuola da quasi un anno, la pandemia è un grave disagio planetario, non accadeva da quasi un secolo, non è un fenomeno da sottovalutare, non si possono fare previsioni, i medici non sono dei lettori della mano o delle palle di vetro. Lavorano a posteriori sul dato clinico».