Alzheimer, Mariapia Veladiano: l’amore supera la malattia

Un pomeriggio Camilla, un’anziana signora dal portamento regale “come la regina Elisabetta, ma più sottile e più bizzarra” si presenta nella piazza del paese sotto un sole caldissimo vestita di tutto punto, con il cappotto abbottonato, il cappello, i guanti, la borsetta e le scarpe in tinta. Incomincia così il racconto di Maria Pia Veladiano “Adesso che sei qui” (Guanda), presentando l’esordio dirompente dell’Alzheimer nella vita di una famiglia. È Andreina, una nipote molto amata, a prendersi cura della zia, una donna attiva, indipendente e fiera, abituata ad accogliere, accudire e provvedere con generosità, che si ritrova all’improvviso fragile e smarrita al centro di un mondo che non comprende più. La nipote, quasi una figlia, decide di lasciare da parte i consigli di trovare un posto in un istituto e di starle vicina. È sposata e ha dei figli ormai grandi e fuori casa: decide quindi di mettere in pausa la sua vita privata. Si allontana dalla zia solo per proseguire il suo lavoro di insegnante. Zia Camilla e a zio Guidangelo sono stati per Andreina importanti come dei genitori durante l’infanzia, e lei risponde con la sua presenza all’affetto ricevuto. Non è facile avere a che fare con una patologia così subdola, così invalidante, che si mangia i ricordi e l’identità stessa della persona cara. Come dice la scrittrice 

La malattia mentale è un tradimento della vita amica. Si sa, genericamente, che può succedere, lo si vede attorno a noi, ma nel momento in cui ci capita è comunque un tradimento, perché riguarda noi, proprio noi e la nostra vita o la vita di chi amiamo.

L’autrice mostra l’aspetto più importante della relazione tra il malato e chi lo accudisce: non i farmaci, non le terapie, non le strategie per mantenere in “ordine” la quotidianità, ma soprattutto l’amore. Non è scontato, non è lineare, anche Andreina combatte la sua battaglia, che diventa un’ampliamento della sua umanità e della sua consapevolezza di sé e della realtà che la circonda. Soprendentemente in questo l’aiutano – ancora di più che nelle incombenze quotidiane – le giovani badanti immigrate: «È stata Merhawit a insegnarmi che a volte aiutare vuol dire non fare. Che non fare è un modo di amare». Non è un rapporto a senso unico il loro: Mariapia Veladiano mostra come ogni donna che incontra zia Camilla ottiene un valore aggiunto, viene trasformata da questo incontro. È uno sguardo diverso sulla malattia, non soltanto stanchezza, sofferenza e ferita ma anche occasione di crescita, un momento in cui nascono nuovi stili di condivisione, i rapporti mutano ma restano egualmente fecondi e ricchi di stimoli, di esperienze di cui fare tesoro. Mariapia Veladiano non crea un quadro “roseo” o illusorio dell’Alzheimer, non nasconde le difficoltà, le crisi, i problemi, ma li illumina di una luce diversa, offrendo una prospettiva interessante, qualche strumento di conforto e uno sguardo di tenerezza e speranza a persone che si trovano nella stessa situazione.