Nuove povertà, più fragili le famiglie con minori. Ma c’è anche l’emarginazione digitale

«È il primo strumento di ricerca complesso e integrato che viene consegnato in epoca covid» afferma Luigi Sorzi, presidente di Fondazione Istituti Educativi di Bergamo, presentando il rapporto «Nuove forme di povertà e marginalità sociale in provincia di Bergamo» realizzato dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca in occasione del 50esimo anniversario di IPAB Istituti Educativi (divenuto FIEB dal 2003).

Un importante inquadramento, spiega il presidente di Fondazione Azzanelli Cedrelli Celati e per la Salute dei Fanciulli Dario Zoppetti, «dei fenomeni della povertà e della marginalità della società contemporanea che sollecitano riflessioni, valutazioni necessarie ed elementi per orientare i modi più efficaci e adeguati per i nostri interventi», ma soprattutto, precisa il presidente di FIEB Sorzi, questo sarà uno strumento di analisi che potrà «arrivare a dare delle risposte concrete ai bisogni reali della gente, da cui può partire un percorso di condivisione dei dati che coinvolga tutto il territorio, istituzioni locali, ambiti, welfare, terzo settore e il volontariato».

A lavorare rigorosamente a quest’indagine, in un anno e mezzo, è stata l’équipe dell’Università di Bergamo guidata dal professore di sociologia del territorio Matteo Colleoni e dal docente di sociologia economica David Benassi, dai ricercatori Simone Caiello e Luca Daconto, Ilaria Donadoni, professionista dei Servizi Sociali e Andrea Pendezzini, medico, psicoterapeuta ed esperto di marginalità sociale e condizione di migranti. Inoltre, l’iniziativa è stata condivisa e sostenuta economicamente dalla Provincia di Bergamo e dalla Fondazione Azzanelli Cedrelli Celati e per la Salute dei Fanciulli con la collaborazione, per gli archivi e le esperienze, di Acli di Bergamo, ATS Bergamo e Fondazione Carisma.

Copertina del rapporto finale «Nuove forme di povertà e marginalità sociale in provincia di Bergamo»

«Nuove forme di povertà e marginalità sociale in provincia di Bergamo» è una ricerca che è composta da tre sezioni: una parte teorica e due di analisi di tipo quantitativo e qualitativo.

Nella prima parte teorica, spiega il presidente di FIEB Luigi Sorzi, «questa ricerca descrive puntualmente quattro macroaree: la morfologia della provincia, le infrastrutture , l’economia e le popolazioni di famiglie».

A seguire, c’è l’analisi di tipo quantitativo in cui si nota che la povertà, l’esclusione sociale e la vulnerabilità, spiega il professor Benassi, «sono un effetto negativo del funzionamento della nostra società e quindi non sono fallimenti individuali ma fallimenti dei processi di regolazione sociale che al contrario dovrebbero garantire l’inclusione e l’appartenenza sociale», attraverso i tre canali di protezione sociale: la famiglia, il lavoro e il welfare.

Poi, sottolinea il professore Colleoni, «sono stati usati dati statistici ufficiali, metodi statistici rigorosi per costruire degli indici ponderati e corretti dal punto di vista statistico territoriale». Secondo quanto riporta questa ricerca, il fenomeno della povertà è sempre più frammentato e aggiunge ai soggetti tradizionali, quali gli anziani, le persone senza fissa dimora, gli immigrati, le persone con dipendenze da sostanze, le minoranze discriminate, i malati e i disabili, altri nuovi profili: le famiglie monogenitoriali, i giovani in uscita dal nucleo familiare d’origine e le famiglie che hanno perso l’unica fonte di reddito.

Ad esempio, cita la ricerca, le famiglie con minori sono uno dei profili maggiormente esposti a rischio di povertà a causa di un sistema caratterizzato dalle politiche nazionali deboli: nei comuni della provincia di Bergamo sono il 22,5%, rispetto al dato regionale (21,5%) e nazionale (19,5%).

Altri due esempi quotidiani sono: l’instabilità lavorativa nella provincia di Bergamo che ha un’incidenza dell’11,2%, rispetto ai comuni lombardi (11,8%) e nazionali (16,4%) e i NEET, quei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono iscritti a un percorso di formazione professionale e che rappresentano nella provincia di Bergamo una percentuale del 21,8% rispetto alla Lombardia (18,6%).

Ma un altro esempio che può creare emarginazione tra i gruppi sociali è l’accessibilità ai trasporti. Guardando le mappature di questa ricerca, sul territorio della provincia di Bergamo, si nota la compresenza di aree caratterizzate da diversi livelli di centralità e perifericità per l’alternarsi di zone di montagna e di pianura nelle quali l’accessibilità alle opportunità territoriali è differente. Come evidenziato dalla classificazione delle Aree Interne dell’Agenzia per la Coesione Sociale (SNAI – Strategia Nazionale Aree Interne), a livello regionale, Bergamo registra una quota significativamente elevata di comuni in posizione di perifericità rispetto all’accessibilità a servizi fondamentali per la qualità della vita della popolazione (circa il 15% rispetto al 10% regionale). Anche per quanto riguarda la connessione a Internet, l’accesso alla banda larga è significativamente inferiore al 1,95%, che si traduce a sua volta in una minore capacità di minore inclusione nel mondo del digitale.

Nell’ultima sezione della ricerca, quella qualitativa, sono raccolte una serie di interviste fatte ai “testimoni privilegiati”, ovvero quelli operatori dei sindacati, dei consultori, dei patronati e del terzo settore che sono a contatto diretto con queste nuove forme di povertà e marginalità sociale e dalle quali sono emersi i i seguenti fenomeni: la scarsa partecipazione alla scuola dell’infanzia e l’abbandono scolastico, l’impoverimento dei redditi familiari, l’aumento delle famiglie monogenitoriali e la povertà abitativa. Di fatto, conclude il professor Colleoni, da queste interviste è stato dimostrato che «oggi la grande differenza non è tra ricchi e poveri, ma fra ‘inclusi’ ed ‘esclusi’, i secondi sono coloro che, non inseriti nei circuiti di reciprocità, del mondo del lavoro e delle istituzioni del welfare, rimangono invisibili».

Ciò nonostante, in queste conversazioni, è stata evidenziata anche la presenza di una buona collaborazione tra gli attori che compongono la fitta rete di istituzioni pubbliche e private del territorio con i numerosi interventi di contrasto alla povertà e di contenimento della vulnerabilità sociale e materiale, ma la frammentazione dei canali di sostegno e la difficoltà di fare sistema tra Stato, Regioni, Ambiti e Comuni spesso ne vanifica l’efficacia. Per questa ragione, si sofferma la consigliera della Provincia di Bergamo Romina Russo, «bisogna creare delle reti di supporto che diano delle risposte in base alle esigenze territoriali che questa ricerca ci propone. È un primo passaggio o inizio di quella che può essere una progettualità futura e chiama tutti noi amministratori locali, associazioni a dare delle risposte condivise».

Infine, per divulgare al meglio la ricerca «Nuove forme di povertà e marginalità sociale in provincia di Bergamo», Fondazione Istituti Educativi ha in programma, per il prossimo autunno, una mostra fotografica curata dal fotoreporter bergamasco Giovanni Diffidenti che, con una trentina di scatti, rappresenterà gli undici profili a rischio di povertà e marginalità individuati dai ricercatori e sei webinar per presentare agli enti e alle istituzioni del territorio bergamasco in modo approfondito la ricerca stessa.